I Miami & The Groovers sono sempre stati una delle migliori declinazioni italiane di quella “Americana” che da noi, normalmente poco avvezzi alla varietà degli ascolti, viene associato solo e soltanto al nome di Bruce Springsteen. A distanza di sei anni dall’ultimo disco in studio, il collettivo romagnolo non sembra ancora aver trovato gli stimoli necessari per tornare sulle scene con del materiale inedito, anche se l’attività live, seppure rallentata dal Covid, rimane ugualmente costante.
Oggi Lorenzo Semprini ha interrotto questo lungo digiuno e ha finalmente pubblicato quell’album solista a cui stava lavorando da diverso tempo ma che ancora, per un motivo o per l’altro, rimaneva chiuso nel cassetto.
Prodotto da Gianluca Morelli e realizzato con il contributo di tantissimi amici (tra cui vale la pena segnalare Antonio Gramentieri e Massimo Marches alle chitarre, Riccardo Maccabruni all’organo, Michele Tani al piano e Federico Mecozzi al violino, nonché interventi dei compagni di sempre nei Groovers, come Beppe Ardito e Marco Ferri) 44 è insieme il risultato di anni di palchi, di scrittura di canzoni e di vita vissuta (negli anni successivi a King is Dead Lorenzo si è sposato ed è diventato padre) ma anche la certificazione di appartenenza ad una famiglia, quella che ha il suo epicentro a Rimini e che raccoglie decine di musicisti appassionati, che da decine di anni si danno da fare per portare la musica americana, sia essa la loro o quella degli interpreti originali, nel cuore di quante più persone possibili.
Una missione ardua, considerato lo scarso interesse dell’ascoltatore medio e soprattutto dei trend imperanti da noi, ben lontani da tutto quello che può essere definito “Roots”.
Detto questo, a Lorenzo importa poco, lui ha sempre fatto queste cose e le ha sempre fatte bene, il seguito affettuoso e appassionato che ha raccolto negli anni in giro per l’Italia e nelle frequenti puntate all’estero è lì a dimostrarlo.
44 sono gli anni che ha oggi l’autore, in copertina c’è una foto di lui da bambino e c’è un filo rosso che corre tra le varie canzoni, che è quello della memoria dell’infanzia, guardata e desiderata come quel punto di bellezza e serenità che rendeva facili e belle tutte le cose; da qui lo sguardo e la presenza della madre, scomparsa qualche anno fa e rievocata con intensa commozione in “Occhi verdi” e in “Rimini ‘85”, che sono anche due dei tre singoli con cui il disco è stato presentato. Da qui c’è un percorso che si dipana attraverso le difficoltà del presente, passando per le asperità della situazione attuale, dalle guerre che ancora insanguinano il pianeta (“Equilibrio fragile”), alla crisi climatica (“La terra brucia”), per approdare alla coscienza che resistere e andare avanti senza smettere di lottare costituisce l’unica risposta possibile alla domanda di senso che attanaglia i personaggi di queste canzoni (“Siamo rimasti noi”). È un disco, da questo punto di vista, “springsteeniano”, con la sua quotidianità che si fa lotta esistenziale, ben riassunto dalle note di copertina di un autorevole Massimo Cotto, laddove viene detto che “da qualsiasi parte lo vedi è un gran viaggio, perché affronta temi con i quali ci confrontiamo tutti i giorni: la paura, il distacco, l’equilibrio da trovare dopo una caduta, la fatica di rialzarsi, la morte, le ferite, il destino”.
La novità principale è senza dubbio che Lorenzo ha scelto, dopo tanti anni di inglese, di passare all’italiano: la nostra lingua non è certo la più adatta e funzionale a queste sonorità ma direi che lui se la cava bene, i testi sono diretti, efficaci anche senza l’uso di immagini poeticamente elaborate, l’italiano gli permette inoltre di far sentire sfumature della sua voce che fino ad ora non erano venute fuori e rende dunque il tutto maggiormente vario.
Nonostante queste siano, come credo, canzoni composte nell’arco di un periodo di tempo piuttosto vasto, l’impronta è nel complesso coerente e omogenea, pur nella presenza di una varietà sonora maggiore rispetto ai dischi dei suoi Miami.
Gran parte del merito ce l’ha senza dubbio Gianluca Morelli, che fa suonare questi pezzi potenti e puliti, valorizzando il contributo di tutti ed esaltando l’impronta orchestrale di gran parte delle canzoni: in particolare risulta interessante come il violino di Mecozzi si inserisca tra le ritmiche delle chitarre a dare profondità al suono e a tutto il bel lavoro sulle voci, con Gianluca Morelli ed Elisa Semprini più volte ad affiancare Lorenzo.
Dal canto suo, Semprini si dimostra ancora una volta l’ottimo autore che è, anche se 44 è un disco che funziona soprattutto nei suoi episodi più rock: l’iniziale “Equilibrio fragile” e il singolo “Lei aspetta”, entrambe costruite su un’unica melodia che viene ripetuta aggiungendo man mano strumenti alle varie strofe ed aumentando progressivamente il tiro. “La terra brucia” ha una chitarra che graffia e la batteria di “Paolo Angelini” che spinge parecchio, “Adrenalina”, scritta e cantata assieme a Daniele Tenca, funziona come uno standard ma è potente, coinvolgente e dal vivo saprà certamente fare il suo. Stessa cosa per “Johnny Solitario”, brano trascinante con la fisarmonica di Fabrizio Flisi in primo piano, un pezzo che è anche paradigmatico dei temi dell’intero album, con questo antieroe che, seppure preso a calci dalla vita, continua a camminare.
Quando si vira sulle ballate la tensione scende e il livello cala ma del resto anche ai dischi dei Miami spesso succedeva così. “Rimini ‘85” e “Una notte così” appaiono dunque episodi deboli, mentre “Occhi verdi”, pur non essendo una delle migliori, viene riscattata da un grande ritornello. Discorso diverso invece per “Gospel Rain”, un bel brano dal sapore epico, con la splendida voce di Vanessa Peters ad aggiungere intensità ed un finale strumentale di alto livello, da vera e propria orchestra rock (c’è anche Alex Valle alla Pedal Steel).
La palma del brano migliore però va, per quanto mi riguarda, a “Un respiro per me”, uno di quei brani ariosi dagli accenti Folk, con melodie vocali decisamente riuscite, che sono sempre stati uno dei piatti forti del songwriting di Lorenzo. Questa funziona particolarmente bene, ha un ritornello stupendo e sono sicuro che anche dal vivo saprà dire il fatto suo.
La domanda su che cosa succederà ai Miami & The Groovers è ancora aperta ma non credo sia il caso di cercare adesso una risposta: godiamoci “44” e andiamoci a sentire queste canzoni in uno dei concerti che il suo autore porterà in giro nelle prossime settimane. Non è un genere che potrà mai attecchire da noi ma dal vivo rimane uno spettacolo che merita di essere visto.