Cominciamo con un aneddoto riportato da Stephen Davis nella celebre biografia dei Led Zeppelin “Il martello degli Dei”.
Dietro le quinte, Relf e il cantante degli Hollies incominciarono a spaccare i vassoi del refettorio con colpi di karatè. Relf si ruppe tutte le dita di una mano, che finirono per gonfiarsi come salsicce, e si precipitò nuovamente al bar per alleviare il dolore. Durante il secondo set degli Yardbirds, Relf era ubriaco marcio: mentre la band eseguiva i propri classici, scoreggiò nel microfono, mandò affanculo gli studenti attillati nelle loro divise e poi incominciò a strisciare sul palco. Quando si rialzò, cadde all'indietro contro la batteria e dovette essere trascinato via. In mezzo al pubblico, Page si teneva la pancia dal gran ridere. Per il terzo set legarono Relf con una cinghia all'asta del microfono e suonarono versioni strumentali di tutti i loro classici. Nei camerini, dopo lo show, Paul Samwell-Smith abbandonò gli Yardbirds disgustato.
Di storie analoghe ne è piena la storia recente della musica, oltre che il succitato libro di Davis. Episodi grotteschi, a volte divertenti, più spesso ad una seconda analisi, alquanto patetici e deprimenti. Nessuna professionalità, scarso rispetto per il pubblico, totale mancanza di serietà e impegno sul lavoro. Il modo in cui conciliare l’esattezza necessaria alla “hit perfetta” con il giovanile disordine dei suoi esecutori è uno dei temi interessanti della musica commerciale moderna. Anzi da questa continua tensione, questa lotta tra sregolatezza e necessaria professionalità ha spesso generato opere e personaggi mirabili. Prima di esaminarli cerchiamo di approfondire il rapporto non scontato tra musica ed esattezza. Dopo l’aneddoto è il turno del mito.
Perugino - Apollo e Marsia (1438)
Apollo, figlio di Zeus e Latona, divinità dall’origine complessa, sovente identificato con il Sole, protettore delle Muse e quindi delle Arti, è una delle più importanti divinità del pantheon Olimpico.
Il suo rapporto con la musica è stretto pur se essa non è una delle sue prerogative innate. Egli perviene a questo traguardo dopo due aspri duelli con Marsia e Pan, seimidei di origine pastorale, legati ai boschi e alle greggi.
Marsia, possessore di uno zufolo in cono di cervo fabbricato da Atena, soleva dare sfoggio della sua bravura tra le genti di Beozia. Apollo, venutone a conoscenza decise di sfidarlo in una tenzone musicale: il satiro si dimostrò un virtuoso del suo strumento, ma altrettanto fece Apollo con la sua lira a sette corde. Non potendo stabilire un vincitore, il figlio di Zeus alzò la posta in gioco sfidando il contendente non solo a suonare, ma anche a cantare; ma mentre il Dio, pizzicando le corde della lira poteva pur cantare soavissime melodie, il flauto non permetteva a Marsia di fare altrettanto; le Muse dichiararono vincitore il loro protettore che punì l’arroganza del Satiro scorticandolo vivo.
Stessa sconfitta dovette subire Pan, il semidio arcade inventore della Siringa, che, secondo il giudizio di re Mida, non poté tenere testa allo strumento di Apollo.
Le vittorie di Apollo sui satiri sono, storicamente, l’allegoria della sottomissione dei Beozia e Arcadia al culto solare della divinità greca ma nascondono un altro significato più universale riguardo alla materia del contendere: la Musica. Apollo, già provetto arciere e avvezzo all’uso della corda in tensione, aveva nella lira uno strumento formidabile, costruito di 7 corde; 7 come le note, naturalmente; 7 come le vocali del tardo alfabeto greco, come le sfere celesti o i colori dell’iride. Questo strumento mistico segna il dominio dell’accordo rispetto alla melodia prodotta dagli strumenti a fiato dei satiri: flauti di origine pastorale e popolana, derivati dalla canna con cui si conducono le greggi. L’armonia che domina e disciplina la melodia nasce con la sconfitta di Marsia. Non solo: il mito sancisce anche l’istituzione della Musica come astrazione umana superiore e Arte Autonoma; non più mimesi dei suoni della natura, ma propulsione creativa che trova in rapporti matematici esatti le fondamenta della sua bellezza. Così come la sezione aurea è il principio d’ordine dell’architettura classica, l’esatta divisione del monocordo elaborata dai pitagorici è il primo mattone della teoria armonica nella cultura occidentale.
Apollo istituisce l’esattezza in musica: essa sta nella sua lira, con corde di misure differenti ma esatte e con rapporti costanti, che consentono l’accompagnamento della linea melodica della voce.
L’accordo e per esteso la scienza che lo studia, l’armonia, è materia esatta, codificata e non aleatoria, nonché la base essenziale per la maggior parte della musica occidentale degli ultimi 500 anni. Anche nella musica commerciale moderna pochissimo sfugge al controllo dell’armonia. È infatti l’esattezza insita nei rapporti tra gli accordi che giunge al nostro orecchio e ci trasmette quell’idea di compiuta di precisione, di perfetta intonazione, di geometrica simmetria, che facilita al nostro cervello la memorizzazione di una canzone. L’esattezza di un brano musicale sta anche nella sua, volgarmente parlando, orecchiabilità o meglio “facilità d’ascolto”. Qualcosa di simile all’aritmetica, in cui la nostra abitudine a pensare e calcolare in base dieci rende molto facile contare e operare con numeri interi per cinquine o decine; più difficile sarebbe usare numeri irrazionali, quasi impossibile farlo su base binaria o ternaria.
Siamo ben abituati e piacevolmente stimolati da una canzone che non infranga alcuna regola armonica ancor prima e ancora più subliminalmente rispetto a quanto siamo attratti da una piacevole linea melodica o forse anche da una bella voce. Marsia è stato veramente sconfitto e forse continua ad ondeggiare come l’Appeso dai Tarocchi dal ramo del pioppo.
Tornando indietro alla mitologia, tra i protetti di Apollo vi fu Orfeo, suonatore leggendario in grado di smuovere animali e sassi con la sua musica celestiale. L’archetipo del solista virtuoso che manda le folle in delirio.
Quando Dioniso invase la Tracia, Orfeo trascurò di onorario, iniziando invece i suoi fedeli ad altri misteri e condannando i sacrifici umani. Gli uomini della Tracia lo ascoltavano con reverenza. Ogni mattina egli si alzava per salutare l’alba dalla sommità del monte Pangeo e affermava che Elio, da lui chiamato Apollo, era il più grande di tutti gli dèi. Irritato, Dioniso incarciò le Menadi di far vendetta. Esse raggiunsero Orfeo a Deio, in Macedonia. Attesero che i loro mariti fossero entrati nel tempio di Apollo e, impadronitesi delle armi, irruppero nel recinto sacro, uccisero tutti gli uomini e fecero a pezzi Orfeo. Gettarono nel fiume Ebro la sua testa che galleggiò, sempre cantando, fino al mare, e fu portata dalle onde all’isola di Lesbo.
(Robert Graves – I Miti greci)
Anche a causa di questo episodio, l’insanabile dualità tra Apollo e Dioniso divenne una costante nella tarda mitologia classica:
I sacerdoti orfici, che indossavano un costume egiziano, chiamarono “Dioniso” il semidio dell’epifania taurina di cui mangiavano la carne cruda, riservando il nome di Apollo per il Sole immortale: distinguevano così Dioniso, il dio dei sensi, da Apollo, il dio dell’intelletto.
Grazie poi all’opera di Friedrich Nietzsche, tale dualità è diventata un’importante chiave di lettura e di analisi critica dell’Arte, non solo Classica.
“Avremo ottenuto molto per la scienza estetica quando saremo giunti non solo alla comprensione logica, ma anche all’immediata sicurezza dell’intuizione del fatto che lo sviluppo dell’arte è legato alla duplicità dell’apollineo e del dionisiaco in modo simile a come la generazione dipende dalla dualità dei sessi, attraverso una continua lotta e una riconciliazione che si manifesta solo periodicamente. Questi nomi li prendiamo a prestito dai Greci, che rendono percepibili a chi è avveduto le profonde e occulte dottrine della loro visione dell’arte non mediante concetti, bensì nelle forme incisivamente limpide del loro mondo di dei. Ad entrambe le divinità artistiche, Apollo e Dioniso, si collega la nostra conoscenza che nel mondo greco esiste un enorme contrasto, per origine e per fini, fra l’arte plastica, l’apollineo, e l’arte non figurativa della musica, quella di Dioniso: questi impulsi così diversi procedono l’uno accanto all’altro, per lo più in aperto dissidio fra loro ed eccitandosi reciprocamente a sempre nuove e potenti creazioni per perpetuare in queste quell’antagonismo che il comune termine “arte” supera solo apparentemente; sinché infine, per un miracoloso atto metafisico della «volontà» ellenica, appaiono accoppiati l’uno con l’altro, e in questo accoppiamento generano finalmente l’opera d’arte altrettanto dionisiaca che apollinea della tragedia Attica”
(Friedrich Nietzsche – La Nascita della tragedia)
Giorgio de Chirico - Orfeo Solitario (1973)
Il filosofo tedesco, pur ritenendo la musica legata ad Apollo è fermo nel definire come quest’arte trovi la massima espressione e realizzazione di sé grazie allo spirito dionisiaco e al suo culto di “esaltati”:
“In quelle feste greche prorompe per così dire un tratto sentimentale della natura, quasi che essa debba sospirare per il suo frantumarsi in individui. Il canto e la mimica di tali esaltati dai duplici sentimenti furono per il mondo omerico dei Greci qualcosa di nuovo e di inaudito: in particolare la musica dionisiaca destò in esso spavento e raccapriccio. Se a quanto pare la musica era già conosciuta come un’arte apollinea, lo era solo, detto rigorosamente, come il colpo d’onda del ritmo, la cui forza plastica veniva sviluppata per la rappresentazione di stati apollinei. La musica di Apollo era architettura dorica in suoni, ma in suoni solo accennati, quali sono propri della cetra. Cautamente è tenuto lontano, come non apollineo, proprio l’elemento che costituisce il carattere della musica dionisiaca e della musica in generale: la sconvolgente violenza del suono, il flusso unitario della melodia e il mondo affatto incomparabile dell’armonia. Nel ditirambo dionisiaco l’uomo viene stimolato al più alto potenziamento di tutte le sue capacità simboliche; qualcosa di mai sentito preme per esprimersi: l’annientamento del velo di Maia, l’essere una sola cosa come genio della specie, anzi della natura.”
Sarebbe un interessante motivo di dibattito capire se la musica trovi la sua più pura e potente realizzazione sotto il controllo di Dioniso, o se quella “architettura dorica” di stampo apollineo non la pervada nascostamente o addirittura la vincoli al giogo della divinità solare. In definitiva, la Musica appartiene ad Apollo o Dioniso? Un buon compromesso potrebbe essere trapiantare in profondità la dualità nietzschiana all’interno della stessa arte musicale, magari alla luce di tutto ciò che il Novecento ha portato in superficie: Apollo è l’accordo, l’armonia, il metronomo e il temperamento: è il protettore della scrittura verticale della Musica. Dioniso e i sui fauni lasciano ancora traccia di loro nella melodia, nell’improvvisazione, nella stonatura, nella blue note: sono i padroni dell’orizzontalità. Lo stesso Nietzsche sosteneva:
“[…] dovrebbe essere dimostrabile anche storicamente come ogni periodo riccamente produttivo di canti popolari sia stato contemporaneamente eccitato nel modo più forte da- correnti dionisiache, che dobbiamo sempre considerare come sostrato e presupposto del canto popolare. Ma il canto popolare vale per noi soprattutto come specchio musicale del mondo, come primordiale melodia, che poi cerca per sé una parallela apparenza di sogno e la esprime nella poesia. La melodia: è dunque I’elemento primario ed universale, che perciò può sopportare in sé anche più oggettivazioni, in molteplici testi.”
L’esattezza sta nell’emisfero apollineo, assieme a tanta parte della musica commerciale, compreso quel Rock che pur vuole essere considerato come un manifesto dell’estasi e del baccanale.
Dopo questa lunga digressione rimane ancora aperta la questione posta dall’aneddoto di partenza: come si conciliano la naturale sregolatezza, l’incostanza giovanile, il disordinatissimo ed alcolico pensiero della rockstar con le rigide esigenze della forma musicale “chiusa” basata sull’accordo e sulla tonalità?
La regola generale, che è poi uno dei grandi artifici della musica pop, è che nella maggioranza dei casi l’esecutore, il gruppo che vende dischi, il volto sulla locandina, che passa per radio e va in tour, non è che la cima di un grande iceberg di differenti personalità che si adoperano per produrre la “Hit perfetta”.
La “Rockstar” è il manifesto, il capofila di un ampio gruppo di professionisti che in modo diverso mettono le mani nella costruzione di un prodotto discografico “finito”: produttori, manager, tecnici del suono, arrangiatori, orchestratori, musicisti di studio e poi, in cerchi concentrici e via via più larghi: pubblicitari, road manager, distributori. Al centro di tutto questo lui: l’idolo delle folle, l’eroe sul palco. Ebbene grande parte dell’esattezza nella musica commerciale moderna non sta sul palco ma si colloca in questa necessaria, ben definita zona d’ombra, che, come il mantello del prestigiatore, cela il trucco che sbalordisce la folla.
Pablo Picasso - Mandolino e chitarra (1924)
Lasciando il Mito per tornare sulla Terra, isoliamo due momenti della travagliata ed incostante storia dei Doors, gruppo di massima Arte e minima professionalità, entrambi caratteri imputabili al controverso e carismatico cantante, oggi icona “pop” a posteriori, Jim Morrison.
Paul Rothchlld ebbe un’istintiva precognizione su come avrebbe dovuto gestire Jim Morrison e i Doors. In studio di registrazione era molto esigente, un dittatore che non si faceva certo intimidire da giovani musicisti solitamente all’oscuro del lavoro di studio e vincolati da rigidi contratti. Godeva anche di una grande credibilità. “Avevamo letto il nome di Paul Rotchild su un disco di Paul Butterfield” disse Robby Krieger “Ci piaceva, quel disco. Inoltre, quel tizio era appena uscito di galera perciò pensammo che non poteva essere tanto male.” Il suo status di fuorilegge ebbe notevole peso su Jim Morrison; ma Rothchild possedeva anche una personalità decisamente esuberante, ed era difficile discutere con lui, Secondo il loro roadie (e poi manager) Bill Siddons: “Era l'unica persona che riusciva a incutere soggezione a tutti i Doors. Sapeva strillare urlare in maniera molto caratteristica. Sapeva negoziare e polemizzare con grande abilità. Era talmente preciso che conosceva ogni molecola della struttura di qualsiasi cosa a cui si dedicasse. Era molto tedesco, in questo. Sapeva sempre come rimetterti al tuo posto. Era "il leader". Era ”il produttore”. Ray Manzarek: “Paul era il più hip, il più cool, il più intelligente produttore del pianeta. Paul era noi. Paul era una bella testa. Paul conosceva Bach, Mingus e Monk, Sabicas, la Jim Kweskin Jug Band, Arthur Rimbaud e Federico Fellini. Jim e Paul andarono subito d'accordo”. Paul Rothchild era talmente padrone della situazione e così puntiglioso che riuscì a registrare il primo, magnifico album dei Doors in poco più di una settimana alla fine dell’agosto 1966.
(Stephen Davis - Jim Mirrison. Vita, morte, leggenda)
Ma quando non calcava il palcoscenico, Morrison si riduceva a un Lotario ubriaco con aspirazioni da poeta, mentre coltivava la sua irresponsabilità, fradicia d'alcol, che aveva forse appreso da Baudelaire, Brendan Behan oppure Dylan Thomas. Si abbandonava a un'interrninabile sequela di donne, con le quali cercava di sostenere il ruolo del "politico erotico" (come si era autodefinito) in una situazione reale. In genere la realtà era molto meno romantica delle parole. Una volta, nell'appartamento di un amico a New York, ubriaco cadde in uno stato di inebetimento e crollò su un divano, mettendosi a pisciare sul tappeto.
(Gary Herman – Rock Babilonia)
E in effetti le intemperanze e le bizzarrie del cantante mandarono all’aria più che qualche concerto, minando l’esistenza stessa del gruppo. Ciò non significa certo che la band avrebbe potuto privarsi di Morrison anziché di Rotchild, ma molte volte accade che un eccelso artista non sia in grado, da solo, di trasformare una grande canzone, una grande opera d’arte, in un grande successo.
Arte e Mercato, anche nel Rock, necessitano di mediatori.