Bolaño non ha mai chiarito il perché della sua scelta; intervistato in proposito ha detto che sarebbe stata necessaria una spiegazione “estenuante” e quindi il titolo resta un mistero. In questi casi, il lettore immagina di poter cogliere qualche indizio tra le pieghe del romanzo, e magari proprio alla fine, all’ultima riga. Invece no. O forse. In ogni caso, non in maniera inequivocabile.
Ma la particolarità di 2666 sta anche nel fatto che il lettore viene attivamente coinvolto nel dipanarsi della storia, o meglio delle storie. Infatti, in questo libro non abbiamo un romanzo solo, bensì 5 romanzi distinti, e diversi per linguaggio e stile, eppure tra loro connessi: La parte dei critici, La parte di Amalfitano, La parte dei delitti, La parte di Fate. In origine Bolaño aveva previsto venissero pubblicati separatamente, da un lato per assicurare alla sua famiglia maggiori introiti negli anni a venire, e dall’altro per fare in modo che il lettore leggesse le cinque storie nell’ordine che preferiva. Il romanzo è però stato pubblicato postumo e la scelta editoriale, per volere degli stessi eredi di Bolaño, dopo attenta consultazione con il curatore della sua opera e i suoi amici scrittori, è stata quella di farlo uscire come un unicum, al fine di preservare il valore letterario dell’opera.
In ogni caso, le cinque parti di cui consta il romanzo possono essere lette in ordine casuale: ciascuno può scegliere da dove partire, magari addirittura, se non si lascia scoraggiare dalla mole dell’opera (più o meno 1000 pagine), scegliere di rileggerlo in un ordine diverso, e in questo caso (ve lo assicuro per esperienza) si troverà a leggere un altro romanzo! Dal momento che è un’opera postuma, qualcuno l’ha ritenuta incompiuta. In realtà anche questo non è possibile affermarlo con certezza; siamo di fronte a storie che si moltiplicano e che, proprio come accade nella vita reale, possono portare ad infinite diramazioni e quindi di fatto non finire mai. Certamente, però, non si avverte un senso di “incompiuto” perché leggendo il libro si prova una sensazione di “sazietà” e al contempo un desiderio di saperne di più, di leggere ancora, per capire, per rispondere agli inevitabili interrogativi che la lettura impone: «[…] bisogna sempre fare domande […] Bisogna sempre domandare, e bisogna sempre domandarsi il perché delle nostre domande […] perché le nostre domande, alla prima distrazione, vanno lì dove noi non vogliamo andare».
Va detto che ciò vale in generale per le opere di Bolaño anche se è stato 2666 a consacrarne il successo. In effetti questo fatto stupisce: pur avendo scritto splendide poesie e romanzi di altissimo livello (Consigli di un discepolo di Jim Morrison a un fanatico di Joyce, I detective selvaggi, Il Terzo Reich, per citarne alcuni...e attenzione: tutti sono estremamente diversi da quel che i titoli lasciano pensare) Bolaño resta praticamente sconosciuto fino a quest’opera postuma, opera alla quale dedicò cinque anni di intenso lavoro. È davvero inspiegabile. In altri casi, anche tenendo conto, della morte prematura a soli 50 anni, e delle notizie contraddittorie sulla vita dell’autore (è stato davvero prigioniero in Cile? Cosa ha realmente fatto quando ha vissuto in Messico e ha fondato il movimento dell’infrarealismo? Era un tossicodipendente, un poeta maledetto?) si sarebbe potuto pensare ad una classica operazione di marketing editoriale e infatti questa è l’opinione di molti, anche perché il “caso Bolaño” scoppia negli USA, quando l’autore è già morto da cinque anni, e da lì si diffonde in tutto il mondo, il che ha fatto pensare ad un’abile strategia da parte dell’editore statunitense (all’epoca l’Economist pubblicò un articolo in cui descriveva la “Bolaño-mania”). Magari è proprio così. Le vie del marketing sono infinite, ma se anche fosse, sarebbe uno di quei casi in cui il marketing è servito a qualcosa: a farci conoscere dei romanzi bellissimi scritti con una carica inventiva potente ed uno stile e una lingua eccezionali.
A collegare i cinque romanzi sono molti richiami interni e linee narrative. I più importanti sono due. Innanzitutto, uno dei protagonisti del romanzo è lo scrittore Benno von Arcimboldi, autore di opere di discreto successo edite sempre dalla stessa casa editrice con cui però Arcimboldi non ha contatti diretti, e per dire la verità nessuno ormai da anni ha più notizie di lui, quasi come se fosse scomparso o addirittura mai esistito. Quattro critici letterari europei decidono allora di condividere la propria ammirazione per Arcimboldi e cercare di mettersi sulle sue tracce, e questa ricerca stringe fra loro un legame e permette al lettore di conoscerne anche le complicate vicende sentimentali.
È così che cominciamo a saperne di più su Benno von Arcimboldi, pseudonimo di Hans Reiter, e conosciamo la sua vita abbastanza movimentata, seguendolo nei suoi spostamenti per il mondo. In effetti va detto che lo spazio della narrazione è estremamente dilatato, dalla Germania agli Stati Uniti, al Messico, all’Unione Sovietica… e lo stesso vale per il tempo che attraversa l’intero Novecento e arriva all’inizio del 2000. Inoltre, l’avventurosa vita di Benno von Arcimboldi è occasione per una parte storica che esamina gli eventi drammatici del Novecento, la seconda guerra mondiale, i campi di concentramento, la dittatura nazista, ma anche i movimenti culturali, le avanguardie letterarie, il rapporto scrittore/politica. La storia fa da sfondo importante al romanzo e quella dell’autore di 2666 è un’idea di storia diversa dal concatenarsi di eventi epocali che condizionano l’umanità e la trasformano: «[…] la storia è una puttana molto semplice, che non ha momenti cruciali ma è una proliferazione di istanti, di attimi fugaci che competono fra loro in mostruosità».
I quattro critici, alla ricerca di Arcimboldi, arrivano fino a Santa Teresa, una cittadina del Messico, che da anni vive l’incubo di un serial killer che uccide giovani donne dopo averle orrendamente mutilate (e questo è il secondo importante filo rosso che lega i cinque romanzi). Si tratta di donne che lavorano nelle maquiladoras e, per questi fatti, Bolaño si basa su fatti realmente accaduti nella città messicana di Ciudad Juàrez quando tra il 1993 e il 1998, vennero ritrovati i corpi di centinaia di donne e non si arrivò mai a individuare il colpevole. Questa catena di delitti coinvolge due personaggi, Oscar Amalfitano, docente di filosofia, e Oscar Fate, giornalista sportivo americano, le cui vite verranno a contatto in maniera drammatica e sorprendente. Ecco allora che 2666 si trasforma da libro sentimentale in romanzo storico, in giallo, in vero e proprio poliziesco, e poi ancora noir, e pulp nella descrizione dei cadaveri dei corpi ritrovati e delle cause della morte delle donne. Non solo: le connivenze delle autorità locali, in primis la polizia, sono occasione per una deviazione nel romanzo politico e di denuncia e di critica sociale - «La gente vede quello che vuol vedere e quello che vuol vedere la gente non corrisponde mai alla realtà. La gente è vigliacca fino all’ultimo respiro» - senza mai cedere alla tentazione dell’eccessiva seriosità, ma anzi sempre restando ancorato ad un linguaggio ironico e piacevolmente caustico - «Non c’è posto al mondo in cui ci siano più stupide al metro quadro di un’università californiana».
Pur nella rete di rimandi e di collegamenti interni fra personaggi ed eventi, c’è una forza che domina il tutto: il caso. È il caso che lega le diverse narrazioni, una casualità che alla fine diventa regola per gli esseri umani perché l’unico modo per affrontarla è farla propria, accettarla e conviverci: «Il caso si trasformava in ordine, se pure a spese di quello che è comunemente noto come senno». È il caso che determina la vita dunque. E la vita è movimento continuo, trasformazione senza tregua; e infatti i personaggi di Bolaño sono caratterizzati da una complessità di fondo, da un atteggiamento contorto e imprevedibile e questo perché Bolaño considera la natura umana molto più complicata di quel che si possa ritenere: «Come siamo contorti. Come sembriamo o ci mostriamo semplici davanti agli altri e in fondo come siamo contorti». Si tratta di personaggi che sono sempre in moto e sembrano non trovare mai pace: «[…] la serenità non esisteva, esisteva solo il movimento che è la maschera di molte cose, compresa la serenità».
Il caso e il continuo movimento della vita determinano la struttura aperta del romanzo. Da ogni storia, da ogni fatto, da ogni personaggio, si possono sviluppare infinite altre storie, fatti, personaggi, protagonisti o accessori che siano. Anche per questa ragione, non è facile incasellare 2666 in una categoria letteraria: quel che è certo è che niente è come sembra e, se da un lato il lettore è avvinto dalla trama, pur complessa e a tratti indecifrabile, dall’altro lato viene costantemente disorientato dagli improvvisi scarti narrativi, dalla struttura labirintica che si dipana sempre in maniera inaspettata, prendendo la strada che proprio non si immaginava, e non cadendo mai nel banale o nel prevedibile. Il tutto si innesta su un solido impianto narrativo in cui la raffinatezza della forma, supportata da un sapiente impiego di strategie retoriche, non perde forza a contatto con l’apparente casualità dell’intreccio ma, anzi, ne viene accentuata ancor di più.
Per tutte queste ragioni e non solo, 2666 è un romanzo imperdibile in cui il lettore è parte attiva, in cui leggere è davvero immergersi in un’esperienza di vita vissuta, perché, come dice lo stesso Bolaño: Leggere è come pensare, come pregare, come parlare con un amico, come esporre le tue idee, come ascoltare le idee degli altri, come ascoltare musica […] come contemplare un paesaggio, come uscire a fare una passeggiata sulla spiaggia.
PS: rileggendo queste righe ho notato un’inquietante casualità, vale a dire la ripetizione costante del numero 5... 5 anni di lavoro, la fama 5 anni dopo la morte dell’autore, avvenuta a 50 anni, il romanzo composto da 5 romanzi, i delitti di Ciudad Juàrez che si svolgono nell’arco di 5 anni... Mah! Sarà solo un caso.