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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
08/09/2023
Live Report
2 Days Prog + 1 Festival, 01-03/09/2023, Veruno
Quindicesimo anno per il 2 Days Prog + 1, probabilmente la manifestazione più importante che abbiamo in Italia dedicata al Progressive in tutte le sue numerose declinazioni, curata dall'associazione Veruno Musica. Cartellone di altissimo livello e alcune band che vedere in Italia è difficile se non impossibile. Qui il racconto delle tre giornate.

Quindicesimo anno per il 2 Days Prog + 1, probabilmente la manifestazione più importante che abbiamo in Italia dedicata al Progressive in tutte le sue numerose declinazioni. L’associazione Veruno Musica, molto attiva sul territorio con eventi che toccano anche la musica classica e il Jazz, ha davvero creato qualcosa di speciale, che davvero raramente è dato di vedere: non solo line up di livello altissimo, con band internazionali spesso difficili da vedere dalle nostre parti, ma anche una sostenibilità estrema a livello di costi. Se fino a qualche tempo fa l’ingresso era addirittura gratuito, nelle ultime edizioni è stato introdotto un biglietto d’ingresso ad un costo davvero poco più che simbolico. Merito delle autorità comunali e di una forte rete di sponsor, in una sinergia tale da smentire per una volta ogni polemica sul malfunzionamento culturale e organizzativo del nostro paese.

Rispetto all’ultima volta che sono riuscito ad andarci (ormai troppo tempo fa, purtroppo) la location è cambiata: oggi si fa al Campo Sportivo di Revislate, località comunque vicinissima ad Inveruno e, da quel che mi ricordo, meno dispersiva e più semplice da raggiungere della precedente.

L’allestimento e l’offerta disponibile è quanto di meglio si possa immaginare: stand gastronomici con ampia disponibilità di cibo a prezzi modici, mentre sia dentro sia fuori dall’area dei concerti c’è tutta una varia tipologia di stand di vinili, cd e libri. Prezzi non esattamente modici (almeno relativamente alle cose che ho visto io) ma numerose possibilità di scovare qualcosa di interessante.

Unico aspetto negativo è a mio parere la scelta di tenere seduto il pubblico: mi perdonino gli organizzatori se mi permetto questa critica, ma in un’area così grande le sedie sono più un danno che altro. Al di là del non permettere una visibilità ottimale, penalizzando gli ultimi arrivati (i posti sono numerati), rappresentano anche un grosso fattore di distrazione perché, inutile dirlo, gran parte del pubblico non riesce stare seduta al proprio posto per più di cinque minuti, specialmente nella seconda parte della platea c’è un via vai continuo, cosa che ovviamente penalizza chi ha deciso di godersi il concerto. Capisco che potrebbe esserci stato il desiderio di garantire maggiore comodità ad un’audience dall’età media piuttosto elevata, ma in una visione complessiva delle cose direi che non sia stata una decisine vincente.

Per quanto riguarda il programma delle tre sere, inutile dire che anche quest’anno ci sono parecchi motivi d’interesse. Lo schema è sempre quello: quattro concerti a giornata, dalle 18 alle 24, con ogni artista ad esibirsi per un tempo compreso tra i 60 e i 90 minuti: nessuna comparsata, dunque, nessun gruppo spalla, ma tipologia da vero festival, dove ogni act svolge a suo modo un ruolo da protagonista.

 

Giorno 1

Si parte venerdì con il Prog classico ma dalle venature piuttosto moderne dei toscani La Cruna del Lago, autori di un set molto convincente dove, accanto ai brani del loro disco Schiere di sudditi, hanno proposto anche una interessante rilettura de “Il re del mondo” di Battiato. Ultimi scampoli di sole battente ma pubblico già numeroso, a testimonianza di un evento atteso e partecipato, nonostante non si possa certo parlare di grandi numeri.

Dopo di loro è la volta degli scozzesi Abel Ganz, a metà tra Canterbury Sound e Marillion dell’era Hogarth, mettono in mostra grande classe senza dover per forza prodursi in strutture particolarmente elaborate. Peccato solo per le seconde voci in base, scelta discutibile che rovina soprattutto la splendida ballata “One Small Soul”, dove la parte di Emily Smith manca appunto di un’esecuzione live. Al di là di questo, un set veramente bello per un gruppo senza dubbio da approfondire.

Più conosciuti, di sicuro dalle nostre parti, gli O.R.k, il collettivo di Lorenzo Esposito Fornasari e dell’ex chitarrista dei Marta sui Tubi, Carmelo Pipitone. Questa sera non c’è Pat Mastellotto alla batteria ed è un peccato, ma bisogna dire che la prova di Michaela Naydenova dietro le pelli è ugualmente impeccabile. È invece al suo posto il bassista Colin Edwin, conosciuto anche per il suo passato ruolo nei Porcupine Tree. Suono decisamente più Metal, canzoni più brevi e compatte, zero assoli ed un approccio nel complesso più diretto, che alla fine rende il tutto un po’ troppo monocorde. Senza dubbio bravi ma a livello di scrittura, mio parere personale per carità, non ci ho mai trovato niente di speciale.

 

A chiudere ci sono i Pain of Salvation, che tornano a Veruno dopo undici anni (è la prima volta che questo accade, hanno specificato gli organizzatori dal palco) e che sono alla prima data italiana dopo l’uscita di Panther. Personalmente non li vedevo da parecchio tempo, anche perché ormai diversissimi dal gruppo di cui mi ero perdutamente innamorato ad inizio Duemila.

Ritrovo Daniel Gildenlow e compagni in ottima forma ma, come era lecito attendersi, totalmente appiattiti sugli ultimi due lavori in studio. La conseguenza è un set spesso e volentieri granitico, coi suoni alquanto impastati, dove il gusto melodico per cui sono diventati famosi ha faticato molto ad uscire. Bravissimi, per carità, e bisogna anche dire che sia In the Passing Light of Day sia Panther sono poi così male e contengono alcuni momenti pregevoli. In generale, però, quello che gli svedesi adesso propongono è troppo lontano dai miei gusti e, soprattutto, il live di questa sera, monolitico e rumoroso, non è all’altezza dei numerosi che ho visto in passato. Pregevole la versione di The Perfect Element che suonano verso la fine ma, almeno per quanto mi riguarda (perché il pubblico ha partecipato con entusiasmo ed ha mostrato di apprezzare parecchio) un concerto deludente.

 

Giorno 2

Sabato arrivo tardi e mi perdo i Dim Gray, per cui la mia giornata comincia con gli americani District 97, da Chicago. Il loro è un Progressive Metal dalle influenze moderne e con una buona dose di ricercatezza nelle parti strumentali. La cantante Leslie Hunt ha buona presenza ma la voce, pur potente, è a tratti poco intonata e l’effetto complessivo ne risente. Nell’arco dell’ora abbondante a loro disposizione arrivano anche alcuni brani dall’imminente nuovo disco, che dovrebbe uscire in autunno. Bravi ma scrittura non in grado di lasciare un segno.

Discorso ben diverso per gli inglesi Pure Reason Revolution, che aspettavo di vedere dal vivo da quando, nel 2006, esordirono con il capolavoro The Dark Third. Sono tornati dopo dieci anni di assenza, con due dischi come Eupnea e Above Cirrus che hanno in parte recuperato le sonorità pinkfloydiane degli inizi, anche se la Dark Wave elettronica abbracciata a partire dal secondo Amor Vincit Omnia è ancora presente. Jon Courtney e Chloë Alper guidano una formazione da cinque elementi che imbastisce un concerto pazzesco, dove c’è di tutto, dalle melodie cosmiche alle bordate Electro Pop in chiave Depeche Mode; ottimo impasto vocale, tiro, potenza, precisione, fanno rimanere tutti a bocca aperta per un’ora e venti. Scaletta equilibrata tra vecchio e nuovo, con gli episodi del primo lavoro (tra i quali non manca ovviamente “The Bright Ambassadors of Morning”, che già dal titolo chiarisce l’amore per la band di Waters e Gilmour) ad affiancare le varie “Silent Genesis” e “Dead Butterfly”; notevole il finale con “AVO”, dove il pubblico è invitato a cantare il ritornello, seconde voci comprese. Di diritto sul podio di questa edizione, speriamo solo di non dover aspettare ancora quattordici anni per rivederli dalle nostre parti.

 

La serata si chiude coi Big Big Train, anche loro attesissimi, visto che in Italia non ci erano proprio mai venuti. L’ensemble capitanato da Nick D’Virgilio (lui se non altro con gli Spock’s Beard lo abbiamo visto parecchio) sta attraversando quella che è forse la fase più delicata della propria carriera, dopo la tragica scomparsa del cantante David Longdon nel 2021, con un disco, Welcome to the Planet, già registrato e uscito postumo l’anno successivo. Lo ha sostituito il nostro Alberto Bravin (già con la PFM), che è ormai un anno che gira con loro e che, a giudicare da quello che abbiamo visto stasera, rappresenta una scelta più che azzecccata. Timbro decisamente diverso da quello di Longdon, più robusto e lirico, è tuttavia dotato di enorme personalità, espressività e precisione esecutiva. Nonostante l’atteggiamento umile (parla sempre del gruppo alla terza persona plurale, come se lui non ne facesse ancora pienamente parte) mostra di essere a tutti gli effetti inserito nei meccanismi operativi della band e possiamo dire senza problemi che non fa rimpiangere il suo predecessore.

Sul palco sono in undici, compresa una sezione di ottoni che dona profondità ai brani in cui viene impiegata. In una formazione in parte rinnovata, spicca anche la nostra Maria Barbieri alla chitarra, autrice di una prestazione davvero sontuosa, con soli di una pulizia e di una bellezza notevoli.

È il decimo anniversario di English Electric per cui, in assenza di nuovi dischi da promuovere, gran parte della scaletta pesca da lì, e accanto alla solita “East Coast Racer” arrivano perfino un paio di pezzi (“Keeper of Abbeys” e “A Boy in Darkness”) che il gruppo non aveva mai suonato dal vivo prima d’ora. Notevole l’intermezzo di Nick D’Virgilio assieme coi fiati, e subito dopo una sezione acustica dove lo stesso batterista, evidentemente nostalgico del ruolo di cantante che per anni ha ricoperto a tempo pieno negli Spock’s Beard, imbraccia l’acustica per una suggestiva “Telling the Bees”, che dedica allo scomparso David, dicendo che era una di quelle che amavano di più suonare assieme.

C’è un disco pronto già registrato e nel corso della serata ne ascoltiamo due anticipazioni: “Oblivion” e “Love is Light”; difficile esprimere giudizi dopo un solo ascolto ma ci pare di poter supporre che non rimarremo delusi quando l’album uscirà. Due ore di concerto di altissimo livello, chiuse degnamente con una monumentale versione di “Victorian Brickwork”, da quel capolavoro che è The Underfall Yard. Ora che il digiuno è stato rotto, speriamo davvero, come anche auspicato da Alberto, che questa prima data dei Big Big Train in Italia sia solo la prima di una lunga serie.

 

Giorno 3

La domenica si apre all’insegna di due band italiane ma purtroppo non riesco ad essere sul posto in tempo per vedere Il Segno del Comando, uno dei nomi storici del nostro Progressive. Rimedio coi successivi Karmamoi, una carriera ultra decennale e ben attivi nel circuito internazionale. Il loro set arriva a due giorni dalla pubblicazione di Strings from the Edge of Sound, una raccolta di rivisitazioni in chiave orchestrale di alcuni dei loro brani passati (inclusi alcuni dell’ultimo Room 101). Grande classe e scrittura elegante, con le esecuzioni corredate dalla proiezione di video molto suggestivi. Avrebbero solo bisogno di variare maggiormente la proposta, perché dopo un po’ risultano prevedibili, ma in generale non si può che parlarne bene.

Gli Unitopia sono forse il gruppo più atteso di questa edizione, un colpo incredibile dell’organizzazione ed una delle ragioni per cui questo è un festival è decisamente un’eccellenza. La band australiana era assente dai palchi da dodici anni e quello di Veruno è in assoluto il loro primo show dopo tutto questo tempo, tanto che dopo il primo brano, la lunga e suggestiva “The Garden”, si scusano coi presenti per gli errori dovuti alla ruggine. Da una settimana è uscito Seven Chambers, il loro primo disco dal 2010, e la maggior parte degli episodi della scaletta provengono da qui. È un lavoro di classe e maturo, che mette al centro lo scorrere del tempo, il diventare vecchi ed il modo in cui le esperienze accumulate contribuiscono a mutarci come individui. C’è tanta drammaticità nel solco di queste canzoni, si capisce che non sono stati anni facili (da ultimo l’assenza di Alphonso Johnson, da quello che ho capito dovuto a malattia), ma c’è anche tanta bellezza, composizioni lunghe e di ampio respiro, impreziosite da inserti di violino e flauto, che a tratti escono dalle strutture canoniche del Progressive per andare ad toccare Jazz e musica da camera. Concerto favoloso, corredato da animazioni video coloratissime, penalizzato solo da qualche sbavatura vocale di Mark Trueack. Se non fosse bastato tutto questo ad affermare che si sia stata un’esperienza indimenticabile, aggiungiamo la presenza in line up di Chester Thompson, storico batterista di Frank Zappa nel primo periodo dei Mothers of Invention. Credo che sarà davvero difficile poterli rivedere dalle nostre parti, urge un nuovo miracolo di Veruno Musica.

 

Si chiude con gli Ozric Tentacles, non prima dell’annuncio dei norvegesi Seven Impale come primo artista che prenderà parte all’edizione del 2024. Il quartetto britannico pubblicherà ad ottobre il nuovo Lotus Unfolding ed inaugura proprio qui a Revislate la leg autunnale del tour. A metà tra rock progressivo e psichedelia, al centro del loro sound c’è senza dubbio la chitarra di Ed Wynne, che tra soli funambolici, riff geometrici ed evoluzioni da shredder, porta avanti il grosso del lavoro; le tastiere, suonate sia dallo stesso Wynne sia da Silas Neptune, sono però altrettanto importanti, unitamente alla grande spinta della sezione ritmica (fantastico il batterista Tim Wallander ma molto brava anche la bassista Brandi Wynne) e ad inserti di flauto decisamente suggestivi. Ne risulta un set che, pur nell’uniformità di fondo, non è solamente una collezione di assoli ma passa attraverso tutta una serie di suggestioni ed umori differenti.

Suonano un’ora e mezza abbondante, tornano per un paio di bis dopo l’esecuzione del classico “Sploosh!”, con una grande partecipazione da parte del pubblico (un dato notevole visto che nel corso degli altri concerti ho visto parecchia distrazione, specie nelle retrovie), che abbandona le sedie e si mette a ballare sotto il palco.

 

Termina così la quindicesima edizione del 2 Days Prog + 1 ed ancora una volta non si può che applaudire l’Associazione Veruno Musica per lo splendido lavoro svolto. Cartellone di altissimo livello e alcune band che vedere in Italia è difficile se non impossibile. D’accordo che il Prog è un genere di nicchia, ma credo che un’iniziativa del genere meriti di essere conosciuta da un sempre maggior numero di persone.