Nel 2020, solo pochi mesi dopo l'uscita del loro quarto album Marigold, il cantante dei Pinegrove, Evan Stephens Hall, aveva dichiarato che la band avrebbe tirato il freno a mano e preso le distanze, almeno per un po', dallo studio di registrazione, per ricaricare le pile e dedicarsi alle rispettive famiglie. Nessuno, quindi, si sarebbe aspettato un ritorno sulle scene tanto rapido, e quello che poteva essere uno iato anche lungo, è stato interrotto dall’uscita di questo nuovo 11:11, i cui tempi di gestazione sono stati assolutamente normali (nel 2021 era anche uscita la colonna sonora Amperland NY). Semmai, se una pausa di riflessione c’è stata, questa è confluita nelle undici canzoni in scaletta, in cui a predominare è un andamento più lento e rilassato.
Il disco parte alla grandissima con Habitat, una canzone che inizia con quella giusta dose di elettricità che aveva contraddistinto molte cose dei lavori precedenti. Tuttavia, questo incipit “rumososo” dura ben poco e la canzone prende presto una strada acustica, immergendosi nei suoni della natura e in delicate atmosfere agresti. Da questo momento in avanti, lo spazio sonoro in cui si muovono i brani di 11:11 si fa più bucolico, quasi contemplativo, e i bordi più acuminati del background emo dei Pinegrove vengono levigati con cura, con l’unica eccezione del delizioso indie rock di Alaska, brano dal gancio melodico irresistibile.
Insomma, la band non cerca più quelle progressioni verso il climax esplosivo, Hall canta tenendosi su un registro medio e carezzevole, il suono delle chitarre si fa meno urgente, le ritmiche trattenute e mai invadenti. Ciò che è preponderante in 11:11 è, infatti, un mood deliberatamente pastorale, mai così evidente negli album precedenti: i gelidi sintetizzatori sono stati sostituiti dal suono caldo del pianoforte ("Flora"), le chitarre acustiche hanno assunto un ruolo centrale e la natura è protagonista assoluta nelle liriche di tutto l’album, ciò che appare del tutto evidente in brani come "Alaska" o "Swimming".
Una centralità che fa apparire il disco quasi come un concept dagli intenti ecologisti, che invita l’ascoltatore a tornare alla terra, abbandonare tutto (la città caotica, la superficialità dei rapporti umani, la logica del profitto), per ritrovare una primigenia dimensione naturale. Nonostante queste tematiche importanti e un approccio diverso al suono e agli arrangiamenti, i Pinegrove mantengono, però, intatta la sostanza della loro musica, che è fatta di melodie capaci di far vibrare le corde emotive dell’ascoltatore. In tal senso, mutate mutandis, 11:11 è un disco solido, che trova ulteriore forza espressiva in testi che, pur partendo da un punto d’osservazione soggettivo, riescono a veicolare un pensiero dalle connotazioni fortemente politiche: stiamo distruggendo il nostro mondo, cerchiamo di fare qualcosa prima che la deriva sia irreversibile.