Cerca

logo
RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
09/11/2020
Idlewild
100 Broken Windows
100 Broken Windows coglie l’esatto punto di fusione rumore e melodia: da un lato, impervi muri di chitarre, riff incandescenti e furia distruttiva; dall’altro, melodie innodiche e ritornelli di facile presa da cantare sotto al palco, finché il fiato riesce a supportare la voce.

La storia degli scozzesi Idlewild ha inizio a dicembre del 1995, quando il diciannovenne Roddy Woomble (voce) incontra il batterista Colin Newton a una festa. I due scoprono di avere molto in comune, inclusi interessi musicali simili e collezioni di dischi. Entrambi, poi, hanno il sogno di formare una band e, il caso vuole che quella stessa sera vengano presentati al chitarrista Rod Jones. I tre si frequentano assiduamente e con l’arrivo del bassista Phil Scanlon, quella che qualche giorno prima era solo una velleità diventa progetto tangibile e reale.

Gli Idlewild, che nel frattempo hanno cambiato bassista, esordiscono nel 1998 con Captain, un mini album della durata di venti minuti, che passa pressoché inosservato. Funziona decisamente meglio, sia a livello di vendite che di critica, il successivo Hope Is Important, che viene pubblicato a ottobre dello stesso anno e testimonia di una band più consapevole dei propri mezzi e lucida nel definire uno stile, che troverà forma precisa nel successivo 100 Broken Windows (2000).

Il disco, che viene lanciato da due singoli Little Discourage e Actually It's Darkness, posizionatisi rispettivamente al ventiquattresimo e ventitreesimo posto delle charts britanniche, porta a compimento l’evoluzione già intravista nel lavoro precedente: il suono è più rifilato, le distorsioni attenuate, la giovanile furia punk leggermente smorzata in favore di un superiore impatto melodico. Così, ne guadagna l’efficacia delle canzoni, che pur non avendo perso un watt della loro primigenia potenza, vengono tirate a lucido e “universalizzate” dalla produzione di Dave Eringa e Bob Weston, normalizzatori dal tocco magico.

100 Broken Windows coglie l’esatto punto di fusione rumore e melodia: da un lato, impervi muri di chitarre, riff incandescenti e furia distruttiva; dall’altro, melodie innodiche e ritornelli di facile presa da cantare sotto al palco, finché il fiato riesce a supportare la voce.

C’è molta America nella musica della band scozzese: a tratti, sembra di ascoltare dei Rem agli steroidi (l’iniziale Little Discourage), la rabbia nell’esecuzione e gli acceleranti melodici sono retaggio acquisito ascoltando i dischi degli Husker Du, e l’immediatezza espressiva è mutuata dal punk californiano.

Se l’accoglienza in termini di vendite è discreta, ma non esaltante, 100 Broken Windows è invece celebrato dalla stampa specializzata che non lesina complimenti alla band capitanata da Roddy Woomble. E a ben ragione, perché le dodici canzoni in scaletta (quattordici nell’edizione giapponese) per trentanove minuti di durata, non lasciano scampo.  Apre le danze il drive di chitarra della citata Little Discourage, e il tiro è quello della band di Michael Stipe nei suoi momenti più rock. Attenzione, però: Rem, si, soprattutto negli intrecci vocali molto melodici, ma il suono, tuttavia, risulta dopato e muscolare, decisamente meno elusivo rispetto a quello della band di Athens, ma più diretto e ruvido. I Don’t Have The Map sviluppa la stessa idea, ma il mood si fa cupo, la tensione è tangibile, il ritornello, scartavetrato dalle chitarre, è inquieto, urgente, definitivo.

A volte, la band, sceglie un impatto più melodico, meno urticante, come nella splendida These Wooden Ideas, in cui il contrappunto delle tastiere è discreto ma decisivo, oppure nella dimessa e fluttuante Quiet Crown. In altri casi, invece, gli Idlewild travalicano abbondantemente i confini del noise. Listen To What You’ve Got è rapida e letale come un coltello a serramanico, Roseability parte a cavallo di tamburi scalpitanti e si apre a un refrain che sembra dire "da queste parti poi passeranno i Cloud Nothings", mentre Idea Track nasce sghemba, si accende di furore rumoristico e deflagra in un ritornello di accecante bellezza melodica.

Chiude la scaletta The Bronze Medal, ballata virile e scabra, che evoca il mood malinconico richiamato dalla bella foto in copertina di Ian Ritterskamp. Un momento di raccoglimento, una pausa per rifiatare dopo una corsa forsennata, un enclave di pace contornata da una zona di guerra in cui tutto è elettricità e rumore. La chiosa perfetta per un disco che, a distanza di vent’anni, non mostra un filo di ruggine, ma continua ad attraversare le casse dello stereo con rinnovata, giovanile e fragorosa urgenza.


TAGS: 100brokenwindows | idlewild | recensione | reloudd | review | rock