Bisogna ammetterlo, quando si dice Rammstein le cose che vengono in mente sono all’incirca le seguenti: la canzone “Du Hast”, gli spettacoli pirotecnici ed eccessivi e i continui richiami neo-nazisti (di cui sono accusati ingiustamente a più riprese).
Non aiuta poi il fatto che spesso, a ingrossare le fila dei loro accoliti, ci sono strani figuri o mediocri rockettari, che li ascoltano principalmente per vantarsi di seguire una band pesante e controversa, e che all’uscita di ogni album i primi commenti sono più legati alle sensibilità che calpestano e alle censure che muovono che al valore di ciò che producono.
Ebbene, prendete tutta questa meravigliosa collezione di superficialità, inseritele nel gabinetto più vicino e tirate lo sciacquone.
I Rammstein sono molto di più, sono musicisti e sono soprattutto artisti, nel senso più completo del termine, ovvero di chi non solo rappresenta un sentimento e una porzione di verità, ma di chi non ha paura di sbattertelo in faccia, nella maniera più politicamente scorretta possibile. I Rammstein sono dei provocatori nati, e come i migliori provocatori, si possono permettere la loro posizione di subdoli dissacratori grazie ad una competenza attenta e non banale del mondo e della prospettiva che raccontano.
I loro testi sono ricchi di citazioni e richiami alla letteratura e alla tradizione tedesca: le terrificanti e spietate filastrocche, fiabe e racconti per bambini dei Fratelli Grimm o di Heinrich Hoffmann, le poesie di Goethe, le opere di Bertolt Brecht, ma anche a fatti di cronaca più o meno recenti. A questi si unisce una concezione del mondo odierno come pervaso da disastri i violenze, il tema ricorrente (di memoria quasi Freudiana) dell’amore e del sesso come legati indissolubilmente al dolore, alla violenza e alla morte e il frequente riferimento a temi considerati comunemente tabù, come necrofilia, stupro, cannibalismo, incesto, sadomasochismo, prostituzione e manipolazione, trattati sempre con voluta ambiguità e utilizzando figure retoriche che lascino volontariamente aperte più interpretazioni.
E non dimentichiamolo, i testi vengono scritti e cantati quasi sempre in prima persona, perché sarebbe troppo facile associare la devianza a qualcosa di esterno da sé, puntando il dito e assegnando le colpe a qualcun altro.
Vi sembra troppo? Vi infastidisce? Vi inquieta? Bene, i Rammstein stanno giocando con le vostre paure e tutto ciò che normalmente rifiutate o nascondete di voi. D’altra parte, pensate alla convinzione, la determinazione e la forza intellettuale (unita ad un pizzico di follia incosciente) che ci vogliono per presentare continuamente in un paese come la Germania, dei continui richiami agli anni Trenta del Novecento, al Nazismo e a tutto ciò che è la storia tedesca, dai suoi aspetti più gloriosi a quelli più empi, senza filtri e senza scuse. Un esempio è il lavoro realizzato, nell’odierno album senza titolo, con il potente singolo “Deutschland” e il suo video, vietato alla visione per i minori di 18 anni per i crudi riferimenti ai campi di concentramento nazisti e alle impiccagioni di massa degli ebrei. Ma anche con il video della stupenda “Ausländer” non è da meno, poiché riprende le azioni di saccente dominazione svolte negli anni del colonialismo imperialista nei confronti delle popolazioni indigene.
Questo settimo album senza titolo, pubblicato a ben dieci anni di distanza dal precedente Liebe ist für alle da (2009), non si limita a riproporre dieci anni dopo quelli che sono i particolari stilemi della band tedesca in attività dal 1993, ma li evolve a livello di suono, struttura musicale e produzione.
Il disco è probabilmente il più sperimentale ed elettronico mai realizzato dai tempi di Rosenrot (2005), pubblicato con gli scarti di pubblicazione del precedente Reise, Reise (2004), ma contiene un livello, una qualità, una spinta e un bilanciamento tra sintetizzatori, chitarre e percussioni realmente notevole. Ogni strumento utilizzato (voce compresa) è consapevole, nitido, potente, subdolo e accattivante, in perfetto equilibrio con quello che è da sempre il mandato musicale della band: unire metal, dance, elettronica e violenza. E il risultato è eccezionale, canzone dopo canzone, in tutti i suoi 11 brani, in tutti i suoi 46 minuti.
Una passione, un’intelligenza, una follia, un talento e una violenza, subdola e ironica, che fanno ancora scuola. A quasi 30 anni dalla loro formazione i Rammstein ci insegnano ancora una volta cosa vuol dire fare ed essere arte: dividendo, divertendo, scioccando, facendo discutere, ballare e godere.