(Sing If You’re) Glad To Be Gay è una canzone urgente, militante e, purtroppo, ancora attuale. Già, perché il brano, scritto da Tom Robinson nel 1976, presente nell’Ep Rising Free (1978) e poi inserito nella stampa americana del suo leggendario Power In The Darkness (1978), racconta, più o meno, anche l’attualità dei nostri tempi bui, in cui l’omofobia e le violenze nei confronti di coloro che, l’ipocrita morale perbenista considera “diversi”, sono all’ordine del giorno.
In quegli anni, l’ondata punk sta scuotendo l’Inghilterra, e Robinson, che ha già pubblicato un disco, è considerato uno dei musicisti più interessanti della sua generazione, tanto da guadagnarsi presto un contratto con la Emi. Power In The Darkness, il suo secondo disco, esplicita i suoi intenti barricaderi sia nella copertina (un pugno chiuso giallo su sfondo nero) che nei testi delle canzoni, in cui il songwriter, originario di Cambridge, si schiera apertamente contro il fascismo, il perbenismo e lo sfruttamento e l’oppressione delle minoranze. Il disco, grazie a canzoni come Too Good To Be True, Up Against The Wall e la title track, scala le classifiche inglesi e vende bene anche fuori dai confini britannici, Stati Uniti e Giappone compresi. Ma sono due canzoni, soprattutto, a far parlare di Tom Robinson, nessuna delle quali, strano a dirsi, compare nella prima edizione dell’album: 2-4-6-8 Motorway, che scala le charts fino al quinto posto, e Glad To Be Gay, la cui pubblicazione nell’Ep Rising Free scatena un autentico vespaio di polemiche.
La prima versione del brano, che diviene fin da subito l’inno del movimento di liberazione omosessuale inglese, contiene un esplicito riferimento a Peter Wells, un gay rinchiuso in prigione perché sorpreso durante un rapporto consenziente con un diciottenne. Infatti, all’epoca se per gli eterosessuali l’età consentita per i rapporti sessuali era di 16 anni, per i gay era invece di 21 (i Bronski Beat, qualche anno dopo, intitolarono il loro disco più famoso proprio The Age Of Consent). Quel riferimento, manca, invece, nella versione definitiva, che inizia con una dichiarazione introduttiva, una dedica salace all’Organizzazione Mondiale della Sanità, che fino al 1990 ha ricompreso l’omosessualità nell’elenco ufficiale delle malattie planetarie:” Questa canzone è dedicata all’Organizzazione Mondiale della Sanità, è una canzone sulla medicina e riguarda una malattia la cui classificazione secondo la Classificazione Internazionale è 302.0.”
Le liriche sono ironiche, dissacranti, e al contempo inneggiano alla militanza, invitano a rendere pubblica la propria condizione omosessuale e a manifestare per i propri diritti civili.
La prima strofa è un attacco frontale e senza mezzi termini alla polizia inglese che negli anni ’60 e ’70 era tristemente nota per accanirsi contro i gay, anche in virtù del “1967 Sexual Offences Act”, in base al quale l’omosessualità, tollerata come fatto privato, era criminalizzata se manifestata pubblicamente.
“La polizia inglese è la migliore del mondo, non credo neanche a una di quelle storie che ho sentito, di quando hanno fatto irruzione nei nostri pub senza ragione, e hanno messo i clienti in fila al muro. Hanno scelto gente a caso e li hanno spinti a terra, a resistere all’arresto distesi mentre li prendono a calci, e hanno perquisito le loro case chiamandoli froci.” Violenze all’ordine del giorno, violenze immotivate, una persecuzione feroce e senza senso che Robinson denuncia, mettendosi faccia a faccia con una intoccabile istituzione britannica.
Nella seconda strofa, Robinson si concentra sull’ipocrita società inglese, che non solo tollera, ma ritiene anche normale che tette e culi femminili vengano esibiti sulle prime pagine dei più famosi rotocalchi (The Sun), salvo poi gridare allo scandalo per un qualsiasi nudo maschile.
“Le foto delle ragazze nude sono divertenti su Esquire e Playboy, a pagina tre del Sun, ma i ragazzi nudi sono corrotti e osceni, ed è per questo che stracciano solo le nostre riviste. Leggi come siamo disgustosi secondo la stampa, sul Telegraph, su People e sul Sunday Express, molestatori di bambini, corruttori della gioventù. E’ scritto nero su bianco, dev’essere vero”. E’ ancora l’ironia a rendere graffianti le parole di Robinson, che sono caustiche e arrabbiate, ma contengono anche un amaro retrogusto di tristezza.
Perché è inevitabile che se la stampa punta l’indice verso gli omosessuali, e confonde artatamente l’indirizzo sessuale con il reato di pedofilia, chiunque può sentirsi in dovere di malmenarti, di picchiarti a sangue ogni volta che incrocia la tua strada: “Non cercare di farci credere che se sei riservato sei completamente al sicuro, quando passeggi per strada. Non hai neanche bisogno di essere volgare o fare commenti malevoli per essere picchiato e lasciato incosciente al buio. Avevo un amico tenero e bassino, era solo, una sera, ed è andato a fare un giro.
I picchiatori di finocchi l’hanno preso e gli hanno spezzato i denti. E’ stato in ospedale una settimana.”
E’ l’ultima strofa, la più arrabbiata, quella con cui Robinson invita al coming out e alla lotta, chiama alle armi i gay che si nascondono, sferzandoli a uscire dall’ombra e a combattere per i loro sacrosanti diritti: “Allora siediti tranquillo a guardare mentre chiudono i nostri club, ci arrestano perché ci incontriamo e fanno irruzione in tutti i nostri pub. Assicurati che il tuo ragazzo abbia almeno ventun anni…Menti ai tuoi colleghi e racconta frottole alla tua gente, lascia stare le checche e racconta barzellette omofobe. La liberazione gay è assurda, e ridi con loro: ‘Sti froci ora sono anche legali, che vogliono ancora?”
In pochi hanno avuto il coraggio di scrivere in modo così diretto e intelligente su una condizione di emarginazione che, nonostante il successivo progresso, trova ancora società e governi recalcitranti ad accettare leggi che tutelino e integrino l’omosessualità nel tessuto sociale. Una battaglia ancora in atto, che trova in Glad To Be Gay le parole giuste per sensibilizzare le coscienze e scardinare l’ipocrisia, il razzismo e le posizioni retrive e reazionarie di una Chiesa ancorata a valori medioevali.
Canta, se sei felice di essere gay. E cantiamo tutti, se siamo convinti che un mondo più giusto è possibile, che la libertà è per ogni essere umano, a prescindere dal colore della pelle e dai gusti sessuali, se crediamo fortemente in un mondo in cui ciò che conta è solo ed esclusivamente l’amore. Cantiamo tutti, gay e non, contro l’immonda feccia discriminatoria e razzista.