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REVIEWSLE RECENSIONI
23/06/2022
Reef
Shoot Me Your Ace
Un disco ruvido di rock'n'roll vintage di derivazione (prevalentemente) stonesiana, che segna il ritorno sulle scene dei britannici Reef, dopo quattro anni di assenza.

Non sono certo di primo pelo, i britannici Reef, essendo in attività da metà degli anni ’90, decennio che li ha portati alla ribalta delle scene, grazie alla pubblicazione di un paio di dischi, Replenish (1995) e Glow (1997), ben accolti dalla critica e dal pubblico (l’esordio, per dire, si è guadagnato il disco d’oro). Poi, nel 2003, la band si scioglie, torna di nuovo sulle scene nel 2010, per un tour sold out, ma non pubblica più nessun disco in studio fino al 2018, quando esce Revelation, che vede nella line up il chitarrista Jesse Wood (figlio di Ron Wood) al posto del dimissionario Kenwin House.

Shoot Me Your Ace è, dunque, l’ennesimo ritorno sulle scene, di una band che, oltre ai nuovi Wood e Luke Bullen alla batteria, dell’ossatura originaria ha mantenuto solo il cantante Gary Stringer e il bassista Jack Bessant. La novità di maggior rilievo, però, è la presenza di Andy Taylor (si, proprio lui, il chitarrista dei Duran Duran) in produzione e come musicista aggiunto, il cui ottimo lavoro alla consolle, si sente, eccome. Shoot Me Your Ace, infatti, è un disco (il sesto per la precisione) di rock’n’roll molto più coeso e brillante rispetto al precedente Revelation, che era un lavoro molto buono, ma troppo eterogeneo, in cui gospel, country, rock e southern convivevano in modo un po' confuso e senza coordinate precise.

Taylor ha ricompattato l’ambiente e ha dato una linea precisa, contribuendo alla pienezza del suono con ottimi ceselli di chitarra. Una visione d’insieme efficacissima, che avevamo già apprezzato nel suo lavoro con i Thunder (Backstreet Symphony), e che è risultata vincente, nonostante l’ex Duran Duran, abbia un ben connotato background pop.

Anima vintage e tiro rockista, ma senza mai mostrare troppo i muscoli, Shoot Me Your Ace si apre con la spinta e il brio di della title track, un hard rock incisivo, che sprizza energia grazie all’interplay delle due chitarre, quelle di Wood e Taylor. Il singolo "Best Of Me" possiede il tiro di un brano degli Ac/Dc, accentuato dalla funambolica voce di Stringer, che sulle note alte sembra il sosia vocale di Brian Johnson.

Tutto funziona bene, sia nella melodia incisiva della stonesiana "When Can I See You Again?", sia nei riff serrati di "Wolfman", un brano in quota Led Zeppelin, sia quando la band ammorbidisce la proposta, aprendo alle dolci armonie vocali e all’atmosfera rilassata e solare di "Right On".

Certo, questo disco non ha pretese di originalità o di sconvolgere l’ascoltatore con chissà quale magica alchimia; ma i Reef dimostrano di essere in palla come ai vecchi tempi, sia quando sfoderano un rock blues grintoso come "Refugee", che possiede uno dei riff più poderosi dell’album (caro Jesse, il dna di papà si sente eccome) o quando vestono i panni delle pietre rotolanti nella conclusiva e granitica "Strange Love", che chiude un disco ruvido e gagliardo, e che conferma l'ottimo stato di salute della band britannica.