Gli Hit-Kunle sono una delle realtà più fresche e originali dell’attuale panorama italiano. Suonano fuori dagli schemi omologati e auto-referenziali dell’indie e dei suoi derivati. Ci sono quindi tutti i presupposti per raddoppiare l’interesse su di loro. Dopo aver recensito con piacere “In the pot” il loro esordio per Bello Records, Folake Oladun – la cantante e chitarrista – ha rilasciato a Loudd un’intervista in cui ci conferma tutte le cose che ci hanno colpito di lei e della sua band.
Come nasci artisticamente? Come è nato il tuo amore per la musica, con che musica sei cresciuta, quando hai iniziato a suonare e a comporre e quali esperienze musicali hai avuto prima di Hit-Kunle.
Da che io ricordi c'è sempre stata musica a casa mia. Nessuno dei miei genitori è musicista, però entrambi hanno sempre ritenuto che qualsiasi attività, fatta ascoltando della musica, riuscisse meglio. C'è sempre stata moltissima musica afro naturalmente, ma anche country/folk e derivati in buona quantità.
Ho iniziato a suonare a 14 anni, facendomi regalare una chitarra classica; dopo una manciata di mesi di assestamento in cui suonavo praticamente esclusivamente gli Oasis (che mi piacevano molto), una volta vinto il barrè ho cominciato quasi subito a scrivere canzoni.
Un paio d'anni dopo mi sono fatta prestare da una cara amica una chitarra elettrica che lei non suonava più e mi sono infilata in una band di compagni di classe delle superiori, per poi sfinirli con le mail dei bozzetti delle mie canzoni.
Piano piano ho capito che era quello che mi piaceva e quello che avrei voluto fare per molto tempo ancora. Dopo qualche anno di prove, indecisioni, pause ed i classici vari cambi di formazione, erano intanto ormai finite le scuole superiori e si era reso complice forse il fatto che fossi un po' più convinta degli altri del percorso intrapreso, il progetto purtroppo si è sciolto dopo una manciata di concerti. Ma le canzoni mi piacevano ancora molto e suonare anche, quindi ho deciso di chiedere a Meson (aka Marco Mason, ex batterista Universal Sex Arena) di aiutarmi a dare forma al progetto. Dato che sono sempre stata molto legata alla forma del power trio, si è aggiunto anche un altro amico, Massimiliano Vio, al basso. Così sono nati gli Hit-Kunle.
La prima volta che sei salita su un palco quanti anni avevi e cosa hai suonato?
La prima volta su un palco avevo 17 anni, con la band formata da amici e compagni di classe delle superiori. Suonavamo claassic e hard rock, i Cream, i Mountain, un po' di blues sbilenco qua e là.
La tua capacità di sdoppiarti tra voce e chitarra è straordinaria ma non dev'essere facile suonare e cantare come fai tu. Trovi che questo ti limiti quando componi le canzoni oppure pensi sia la tua forza?
Trovo che in realtà questa capacità di sdoppiamento sia una conseguenza del modo astrattissimo e "immaginativo" in cui compongo le mie canzoni. Tante volte non nascono sugli strumenti, suonando, ma nascono da delle idee musicali, quasi dei concetti, che poi si traducono in musica.
Adoro comporre pensando tantissimo a come interagiscono gli strumenti e che incastri possono creare, mi piace il “dialogo” tra le parti, come in un botta e risposta. Questo mi porta spesso a pensare a delle parti in cui anche chitarra e voce dialogano, da qui credo arrivi questo sdoppiamento. È un aiuto a concretizzare ciò a cui penso.
All'inizio del video di "May I have some?" canti senza chitarra in braccio, il che mi è sembrato strano, sono abituato a vederti con la chitarra addosso. Hai mai provato a cantare senza chitarra dal vivo?
Sì, e amo fare anche quello! Negli Hit-Kunle per ora non succede mai, suono sempre anche la chitarra, mi è successo però di provarlo in passato per concerti occasionali in altre situazioni e mi piace molto, ho tutto il corpo per poter comunicare, è una bella esperienza.
Come nascono le canzoni degli Hit-Kunle? E come nascono i testi?
Le canzoni degli Hit-Kunle nascono quando mi viene un'idea; dico idea per sottolineare quel lato “immaginativo” ed astratto di cui parlavo prima: poche canzoni nascono mentre ho davvero uno strumento in mano. Mi immagino più un concetto, un qualcosa che voglio dire ed è come se lavorassi su come tradurlo in musica. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di esprimere concetti, sentimenti, stati. Ogni tanto però mi piace anche raccontare qualche storia, ma è più raro.
I testi nascono con la musica, contemporaneamente, mi piace che le parole esprimano con forza nel loro stesso significato cosa cerco di esprimere ma mi piace anche che suonino bene con la musica, che siano “musicali”.
I vostri brani sono in inglese e se non sbaglio avete suonato anche all’estero, cantare in inglese è sicuramente un vantaggio. Avete avuto riscontri positivi? Che differenza avete trovato rispetto ai concerti in Italia?
I riscontri sono stati molto buoni! La cosa bella è che quando si tratta anche molto di groove, come nel nostro caso, fai presto ad accorgerti se la cosa funziona oppure no: se la gente si muove e segue il flusso di quello che suoni vuol dire che funziona. Questo è successo anche più di quanto ci aspettassimo e siamo rimasti davvero felicemente sorpresi! Forse una differenza, rispetto a quando suoniamo in Italia, è stata che nel nostro giro in Francia le persone sembravano tendenzialmente più “sciolte”, più espansive nel mostrare coinvolgimento con il proprio corpo, nel muoverlo tutto, dalla testa ai piedi.
Il ritmo è una componente fondamentale degli Hit-Kunle, in questo ho trovato dal vivo Marco Mason alla batteria e Massimiliano Vio al basso delle vere macchine (sono precisissimi) e ho apprezzato sul palco il vostro feeling. È stato difficile trasferirlo sul disco?
No, non è stato molto difficile trasferirlo su disco. Siamo arrivati alle registrazioni che le canzoni le suonavamo già da un po' di tempo e la sezione ritmica di Meson e Max viaggiava bene; poi Franz Fabiano (che ha registrato e co-prodotto il disco) ha avuto un ruolo preziosissimo nella gestione di determinate scelte stilistiche, come l'idea di poter riempire il disco di percussioni suonate magistralmente da Alejandro Garcìa Hernandez, facendo suonare comunque il lavoro come l'album di un power trio.
Trovo siate perfetti così, ma vi siete mai chiesti se portare anche un percussionista dal vivo possa aumentare l'efficacia dei vostri brani?
Sicuramente sarebbe un ottimo elemento da aggiungere, stava bene nel disco, così come altri elementi al di fuori del nostro set up di base che però hanno partecipato all’incisione. Penso che un po' di cose del nostro live cambieranno nel tempo, forse anche la formazione dal vivo.
Per la pubblicazione di "In the pot" avete dovuto fare scelte su quali brani inserire e quali no? Se sì, è stato difficile scegliere?
In realtà non è stato difficile scegliere. A parte qualcuno, i pezzi sono stati scritti per lo più già pensando al fatto che avremmo voluto farne un disco, quindi non è stato difficile portarli verso la stessa “direzione” per farli suonare in armonia all'interno dello stesso album. Poi non avevamo molto repertorio. “Wildcat” per esempio è stata finita nei primi giorni di studio, e nonostante questo alla fine si è rivelato uno dei brani che più ci soddisfano del disco. Una manciata di canzoni, ma quella giusta, probabilmente.
Avete appena suonato al Miami che, al momento, mi sembra uno dei festival più importanti per la nuova musica italiana. Come è andata?
Quella del Miami è stata davvero un'esperienza stupenda e ricca. Abbiamo imparato tante cose anche solo avendo avuto la possibilità di vedere le altre band che stanno girando. Presentarsi ad un pubblico così curioso ed eterogeneo è stato molto stimolante. Siamo tornati a casa con tanti nuovi input, dei nuovi amici, un bel ricordo e gratitudine infinita per l'opportunità che ci è stata data, un'opportunità per niente scontata.
Ma in genere vi piace suonare ai festival? È positivo confrontarsi con le altre band?
I festival sono il mio momento preferito dell'anno! È bello trovarsi in questo movimento, in questo flusso di persone in cui mischiarsi e mimetizzarsi. Quando si riesce a riunire tante persone diverse nello stesso luogo si crea sempre una certa tensione, qualcosa deve succedere. E nel caso dei festival è pura magia! Poi è fantastico poter passare del tempo con altri musicisti, altri progetti, fare amicizia, entrare in empatia, darsi dritte. Quando trovi qualcuno che sa cosa stai facendo perché è quello che fa anche lui, ti senti a capito, ed è una bella sensazione. Viva i festival!
Ho visto che suonate parecchio dal vivo. Le cose stanno andando bene? È difficile trovare date per concerti?
Le cose stanno andando molto bene! Sono mesi che siamo in tour, il disco è stato accolto anche meglio di quanto ci aspettassimo. Agli inizi del progetto, senza un disco da presentare era sicuramente meno facile trovare date, ma proponendosi ai locali e spedendo tante (tantissime!) mail alla fine ce la facevamo. Da quando è uscito il disco ed è iniziata la collaborazione con La Tempesta Concerti per il booking, sicuramente abbiamo iniziato a suonare molto di più, ed abbiamo iniziato ad avere anche più energie da dedicare solo alla musica.
Riesci a conciliare vita privata e musica? Da ex-musicista, so che è un bel casino, soprattutto finché non ti permette di fare solo quello.
Al momento ho la fortuna di potermi dedicare solo alla musica, naturalmente mi richiede una serie di sacrifici, però penso ne valga la pena. In questo momento, in realtà, potrei dire che anche la mia vita privata è la musica e forse il problema è più riuscire a scindere le due cose. A volte penso al fatto che la cosa giusta da fare sarebbe staccare ogni tanto, ma non mi riesce bene perché dedicarmi alla musica è tutto ciò che primariamente vorrei fare; così come a volte mi sento fortemente appagata e libera proprio perché sono felice di ciò a cui mi dedico, mi piace essere pregna di questo sentimento, della libertà di fare ciò che adoro. Nel mio caso, insomma, per ora mi posso dedicare alla musica, però si tratta sempre di trovare i giusti equilibri.
Ho visto sul tuo profilo Facebook che fai delle serate con la cantante Monique H. Mizrahi, che però purtroppo non conosco. Di cosa si tratta? È un progetto parallelo? Che musica suonate?
Io e Monique ci siamo conosciute tramite un amico comune (sempre grazie Roberto!) ed inizialmente le serviva solo una chitarrista che la accompagnasse. Alla prima prova abbiamo scoperto di nutrire tutte e due un amore illimitato per la musica brasiliana e così è nato istantaneamente il progetto e la nostra amicizia: siamo entrambe persone abbastanza istintive ed il progetto è nato nel giro di un paio d'ore penso, lo desideravamo fortemente. Il punto cardine di quello che facciamo assieme è la proposta afro-samba e bossanova, ci sono classici appartenenti ai generi, canzoni di Monique dal suo progetto Honeybird e canzoni degli Hit-Kunle, tutto riarrangiato per due voci, charango, chitarra e qualche percussione.
In realtà, però, fondamentalmente, suoniamo un po' quello che ci va, facendoci guidare da un mood di tropical vibes, è molto divertente.
Con Hit-Kunle state lavorando a materiale nuovo? Progetti per il futuro?
Sì, con gli Hit-Kunle stiamo lavorando a del materiale nuovo che stiamo già proponendo ai concerti. In questi mesi ci sono arrivati tanti stimoli e ci stiamo concentrando molto anche sul sound. Essendo in tour, per ora il focus rimane sui concerti; potrebbe venirci voglia di pubblicare qualcosa nei prossimi mesi, chissà.
Che musica ascolti in questo periodo? Ti piace la musica italiana che c'è in giro?
In realtà in questo periodo mi piace ascoltare un po' di tutto davvero, forse perché mi piacerebbe educare l'orecchio a capire anche le cose che istintivamente non cercherei.
Ci sono un sacco di cose valide in giro, in ordine sparso mi vengono in mente Sequoyah Tiger, Cacao Mental, Vanarin, Universal Sex Arena, Technoir, La Rappresentante di Lista, Sonars, tra i progetti che mi hanno colpito ultimamente. Inoltre sono molto affascinata dall'elettronica e dalle “macchine”.
Ciascuno nella musica che ascolta trova aspetti a seconda dei propri gusti. Io adoro i Talking Heads e, quando vi ho sentito la prima volta, ho subito associato il vostro stile al loro. Li conosci? Ti ci ritrovi?
Sono felice di questo! Li conosco, e non sei il primo ad associarci. In realtà non sono stati tra le band che ho ascoltato, però ho assolutamente sentito il bisogno di farlo dopo che un paio di persone di fila, dopo i concerti, ci hanno detto di averli sentiti nella nostra musica. Penso sia sempre per l'idea della contaminazione; i Talking Heads fecero un percorso che li portò ad inglobare anche elementi afro e questo penso ci accomuni. È forse proprio la base di cosa vorremmo proporre con la nostra musica, il “clash”, l'incontro/scontro, la contaminazione, questa tensione che crea è davvero forte, almeno lo è in noi. Non so per quanto tempo lo sarà, però per ora è un po' il nostro motore.