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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
04/09/2017
Il punk aveva arginato la censura moralistica
(ancora sull’ipocrita politically correct)
La risposta alla domanda precedente è probabilmente che (di nuovo?) si potevano esibire le proprie e le altrui mostruosità, non più nascosti dietro la falsità del “tutto va bene”. Grazie al punk.
di Stefano Galli steg-speakerscorner.blogspot.com

Vi siete mai domandati perché nelle storie di Stefano Tamburini e Tanino Liberatore ci fossero personaggi deformi?

C’è una canzone dei Devo, gruppo che non mi fa impazzire ma di cui riconosco l’importanza[1], che spiega molto: è “Mongoloid”, pubblicata nel 1976 come singolo.

Da qualche anno dire “mongoloide” era già considerato sgradevole: dovevi dire “down”. Come pensare che il “non vedente” stia meglio di quando era qualificato “cieco”.

I Devo (punk? New wave? Whatever!) cercarono come altri di raccontare come stessero veramente le cose.

La risposta alla domanda precedente è probabilmente che (di nuovo?) si potevano esibire le proprie e le altrui mostruosità, non più nascosti dietro la falsità del “tutto va bene”. Grazie al punk.

Incidentalmente: ricordo uno splendido concerto di Siouxsie and the Banshees nel luglio 1985 all’ex Cottolengo di Torino: variante, ulteriore, su Freaks di Todd Browning.

Appunto: si veda “Pinhead” dei Ramones. Liberate i mostri apparenti[2].

Ma dei Brud(d)ers si consideri anche la più cupa “Lobotomy”[3].

Il punk era la famiglia dei reietti, dove le cicatrici esibite erano più belle dei gioielli (lo disse Rosso Veleno o, prima di lei, David Bowie?) e dove si valeva per ciò che si era.

Che dire, anche, di quella gemma recuperata in extremis (per chi si limita al prodotto ufficiale) di “Make Up To Break Up” ancora di Siouxsie and the Banshees?

O scavando ancora più a fondo, l’urlo di disperazione di “Thalidomide” de The Pack (che sarebbero diventati i Theatre Of Hate).

Oggi è – sempre di più – di nuovo tutto “carino e a posto”, come se il punk non ci fosse mai stato.

Ma quelli che non hanno il senso della vista continuano ad avere solo il nero come colore (o non colore?) costante e i subnormali non terminali sanno di non essere troppo intelligenti. Nessuna delle due categorie è trattata per ciò che è, si fa finta – censoriamente – che siano come noi.

Noi chi? Io non sono come quelli che mi circondano senza che lo scelga io di essere circondato da loro; io cerco di essere educato[4] eppure io continuo a chiamare ciechi i ciechi.

Qualcuno, del resto – un comico di cui purtroppo non ricordo il nome - qualche tempo fa si è anche inventato i “diversamente ricchi”: sono i poveri.

È la censura che è tornata attraverso il politically correct e non se ne va.

Oppure l’ordine costituito in L’Étranger di Albert Camus[5].

“Gabba Gabba Hey!” a tutti coloro che non hanno da leggere queste mie righe, ma che saranno ciononostante la maggioranza dei loro lettori.

[1] Al momento 105 loro registrazioni sul mio i-Pod.

[2] Prima dei pipistrelli dei Birthday Party.

[3] E volendo anche “Cretin Hop”.

[4] E spesso quasi mi investono, i ciclisti sul marciapiede, quelli ecologici e corretti. I loro omologhi in auto hanno comportamenti differenti, a seconda di come sono vestito, io sempre pedone.

[5] Tanto per citare un libro intelligente al posto di quelli in classifica. Come quelle “canzoni che non trasmettono mai alla radio”.