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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
05/04/2018
Lettera a Kurt
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La scelta è stata solo tua, casomai potremmo discutere su quanto sia stata lucida. Cambierebbe qualcosa? Non credo.
di Alessandro Menabue

Dicono che c'è un tempo per il perdono. Può darsi che sia davvero così, Kurt; eppure per me quel momento non è ancora giunto, e comincio a pensare che forse non arriverà mai. Perché vedi, io ancora oggi - a ventiquattro anni di distanza da quel 5 aprile che resterà per sempre tragicamente associato al tuo nome - quel colpo di fucile alla testa continuo a non perdonartelo.

Giuro che ci ho provato non so nemmeno più quante volte, inutilmente. Ho tentato di spiegarmelo, quello sparo: immagino che sia figlio della pressione di una popolarità travolgente giunta troppo all'improvviso, della tua incapacità di gestirla e, senza alcun dubbio, di quel mix di eroina e Valium che ti trovarono nelle vene al momento dell'autopsia che era ormai diventato la costante della tua vita. Ma per quanto possa cercare di calarmi nelle traversie della tua esistenza, per quanto i tuoi motivi, nella tua ottica distorta dalle droghe, potessero  apparirti solidi,  non posso giustificarti: io all'epica del "it's better to burn out than to fade away", citato nella tua lettera di addio, non ci ho mai creduto. E in fondo non ci credeva neppure Neil Young (che quel verso lo aveva scritto per My My, Hey Hey), tant'è vero che lui è ancora qui che suona e lotta assieme a noi. Tu no. Sempre in quella lettera ti definivi un "miserabile autodistruttivo rocker": quel passaggio mi è sempre apparso come il punto più nauseante di quello scritto infantile, narcisista, autoassolutorio.

Niente di più che la scusa che pensavi ti servisse per puntarti una canna alla tempia, scappare dai fantasmi che ti perseguitavano e magari essere pure compreso, commiserato. Ecco, a me deve essere sfuggito qualche passaggio dal momento che, placato lo sgomento per quanto accaduto, non mi sono mai sognato di compatirti. Sarò biecamente cinico ma mi risulta davvero difficile considerare “miserabile” un ragazzo che, grazie alle sue meravigliose canzoni, ha segnato la vita di milioni di giovani in tutto il mondo e ha contribuito in maniera consistente a creare quell'ultimo grande fenomeno rock che è stato il grunge. Miserabile? Mettiamo da parte le puttanate, per cortesia. Certamente autodistruttivo, su questo non ci piove: non avresti potuto essere più convincente. Ma le tue pulsioni autolesioniste, perdonami l'egoismo, non erano un nostro problema. A noi interessavano la tua musica e i tuoi versi, amavamo ascoltarti e guardarti mentre cantavi le tue canzoni con quella faccia un po' così, perennemente imbronciata, anche quando cercavi di sorridere. Certamente non ci interessava guardarti mentre gettavi la tua vita nel cesso, e di sicuro non ti abbiamo mai chiesto di farlo.

La scelta è stata solo tua, casomai potremmo discutere su quanto sia stata lucida. Cambierebbe qualcosa? Non credo. La sostanza è che se potessimo cancellare quella fucilata e quella patetica lettera, forse ad un certo punto della tua vita avresti pensato a tua figlia Francis, avresti realizzato che poteva avere una vita bellissima in compagnia di un padre diverso, ti saresti rimesso in sesto per lei e per te stesso. Avresti riscoperto il piacere di scrivere musica e di esibirti davanti a un pubblico che non avrebbe mai smesso di aspettarti. Ma queste sono solo fantasie, infantili come la tua lettera. Quel 5 aprile hai compiuto la tua scelta e te ne sei andato. Le tue canzoni, almeno quelle, non te le sei portate via.