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REVIEWSLE RECENSIONI
15/06/2018
Barbarisms
West In The Head
Quello che colpisce, comunque, è la capacità di sintesi, il suo saper andare sempre dritto al punto, sfoderando melodie ogni volta indimenticabili e giocando sapientemente tra episodi malinconici e altri dove è l’ironia a costituire la componente fondamentale.

Arrivano al terzo disco i Barbarisms di Nicholas Faraone, rinnovando la collaborazione con l’etichetta romana A Modest Proposal e avviandone un’altra con la tedesca Devil Duck. “West in the Head”, da titolo e copertina (quest’ultima realizzata dal celebre artista svedese Jan Håfström) si configura come un diario di viaggio, come dieci canzoni che si muovono per luoghi differenti, sempre con l’idea di partire “verso Ovest”. Un percorso che già lo stesso Nicholas ha seguito, con il suo girovagare dagli Stati Uniti a Parigi, fino ad approdare alla Svezia dove vive tutt’ora.

Se gli orizzonti cambiano, le coordinate musicali rimangono le stesse, nonostante la leggera base elettronica dell’iniziale “Bone Beach” potesse far pensare ad una virata verso lidi più vicini al Synth Pop. La verità è che Faraone rimane un fan del Folk Rock in tutte le sue declinazioni, da quella europea a quella più marcatamente americana (difficile non pensare a Bob Dylan ascoltando le ultime due tracce “Freewheeling Through the Old World” e “Common Tongue”) con un occhio di riguardo allo Slacker dei migliori Pavement.

Niente di nuovo sotto il sole, dunque ma un progressivo miglioramento a livello di scrittura, a rendere questo “West in the Head” la migliore prova del terzetto scandinavo realizzata finora.

Del resto, Faraone è sempre stato un autore prolifico e straordinariamente dotato: ricordo ancora quando li vidi dal vivo a Milano in occasione del loro primo tour italiano e più di metà della setlist era composta da brani inediti. Quando li parlai dopo lo show, mi disse che aveva già un sacco di canzoni nuove pronte e che in generale lui era uno che scriveva in continuazione.

Quello che colpisce, comunque, è la capacità di sintesi, il suo saper andare sempre dritto al punto, sfoderando melodie ogni volta indimenticabili e giocando sapientemente tra episodi malinconici e altri dove è l’ironia a costituire la componente fondamentale.

Ancora una volta si viaggia altissimi, dunque. Che siano le soffuse vibrazioni acustiche di “My Take” e “Moaning Teresa”, oppure gli episodi più vivaci e divertenti come “Public Places”, o ancora quelli più nostalgici come “Soulful Lingo”, queste canzoni sanno sempre trovare la via del cuore, oltre a possedere una freschezza e allo stesso tempo una credibilità da “Instant Classic” che ogni volta ci lascia esterrefatti.

E poi, come valore aggiunto a questo giro, arriva “Royal Ballet Academy”, semplicemente il più bel pezzo mai scritto da Nicholas, tre minuti scarsi di pura perfezione Pop/Folk, che da sola basta a spiegare la grandezza di questa band.

Da parte loro, Tom Skantze e Robin Af Ekenstam, gli altri due membri di una line up che in questi quattro anni è sempre rimasta stabile, svolgono un lavoro egregio, dando ai brani un vestito semplice, spontaneo ma allo stesso tempo curatissimo, che l’inserto saltuario dei fiati rende ancora più suggestivo.

Ci hanno sorpreso ancora una volta, al punto tale che ormai non sono più una sorpresa. Nell’affollato panorama odierno, i Barbarisms sono diventati una realtà solida e credibile. Sarebbe davvero un peccato non tenerne conto.