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REVIEWSLE RECENSIONI
01/12/2022
Coma_Cose
Un meraviglioso modo di salvarsi
Il bilancio finale, pur tra alti e bassi, non può che essere positivo: Un meraviglioso modo di salvarsi inaugura la maggiore età dei Coma_Cose, quella in cui non sono più il gruppo del momento, in cui è svanito l’effetto sorpresa e dovranno dimostrare di avere le carte in regola per rimanere in gioco.

Il percorso artistico dei Coma_Cose è arrivato a quel punto in cui, lasciatisi alle spalle la fase della novità dirompente e della next big thing contagiosa, archiviata anche la tappa della consacrazione mainstream rappresentata da Sanremo, si ritrovano giocoforza a gestire il limbo della prosaica quotidianità. Che poi, a ben vedere, è quello che ci toccherà fare con tutta questa generazione di artisti degli anni Dieci: verificare se riusciranno a sopravvivere in maniera significativa pur all’interno di un mondo in cui non saranno più quelli al centro dell’attenzione.

L’esperienza Sanremo aveva comunque già fatto parecchio in tal senso: California e Fausto Lama avevano iniziato una pericolosa virata sentimental confusion in cui tra ballate sdolcinate e una narrazione quasi esclusivamente incentrata sul loro rapporto, avevano fortemente rischiato di mettere in primo piano il contorno, non la sostanza.

Parafrasando il titolo di questo nuovo album, ciò da cui il duo milanese dovrebbe salvarsi è proprio questa immagine stereotipata dei due piccioncini innamorati, sorta di Albano e Romina dell’It Pop, quelli che li ascolti perché “hai visto come sono teneri quando si guardano negli occhi?” e non per il loro modo interessante di mescolare Urban, Rap e canzone d’autore. “Fiamme negli occhi” e il successivo (a mio parere ultra deludente) EP Nostralgia hanno contribuito a cristallizzare questa immagine, col corollario di un uso imbarazzante dei Social Media (hanno detto che se ne vogliono liberare e per fortuna, non aspettavamo altro) che neanche un quindicenne con problemi di carenze affettive.

 

Un meraviglioso modo di salvarsi, titolo intrigante che non nasconde tuttavia una evidente povertà di contenuti (i nostri sono bravissimi a giocare con le parole, ma in quanto a profondità di pensiero fanno quello che possono, cioè pochino), potrebbe anche riuscire a risollevarne le quotazioni (artistiche, perché sul pubblico non credo abbiano perso qualcosa).

Non sono più quelli degli inizi ed è un bene, chiariamolo. Quel modo di ibridare i linguaggi, al servizio di una comunicazione sintetica e folgorante, non è in grado di essere ripetuto all’infinito, neppure se loro due avessero il triplo delle capacità di scrittura che effettivamente hanno. Era una formula che era paradossalmente già perfetta sul primissimo pezzo (“Golgota”) e che hanno portato avanti senza cali di tensione fino ad Hype Aura, il loro disco d’esordio, quello per cui non mi è mai sembrato fuori luogo entusiasmarsi.

 

A questo giro scelgono di allargare lo spettro d’influenze, portandoci metaforicamente a casa loro, farci dare un’occhiata alla loro collezione di dischi e dimostrarci che hanno dei gusti molto più eterogenei di quel che si potrebbe pensare. Il risultato è un disco vario, che come il precedente non rinuncia a giocare col Pop, ma lo fa in maniera decisamente più consapevole: già l’iniziale “Chiamami”, che era uscita come singolo qualche settimana prima, funziona bene, nonostante una certa ingenuità di fondo. C’è un bell’equilibrio tra le parti, con Francesca impegnata nel ritmo saltellante della strofa e Fausto a sfogarsi in un refrain liberatorio e ultra melodico, e l’effetto generale è piacevole. C’è un brano come “Transistor”, che fa largo utilizzo dell’elettronica a strizzare l’occhio ad un certo Synth Pop di metà Eighties; “Foschia”, insolitamente lunga e piuttosto cupa nelle atmosfere, forse la cosa più interessante assieme a “La Resistenza”, che nel suo tentativo di abbracciare quella fase della vita di cui si parlava all’inizio dimostra un approccio senza dubbio vincente alla scrittura Pop.

Abbiamo addirittura un certo ritorno del Rap, con una “Sto mettendo in ordine” dove Fausto racconta il suo percorso, dagli inizi come MC alla prima sfortunata avventura nell’universo mainstream, fino all’incontro con Francesca che ne ha segnato la rinascita. È un brano piacevole, con una base “in minore” dove il Beat non è questo gran protagonista e preferisce lasciare il posto alle tastiere; lui se la cava bene, è un guardare al passato che non ha nulla di nostalgico ma neppure di un autocompiaciuto sentirsi arrivato. È un brano che sta in un limbo, in un certo qual modo, è un rimettere in ordine che ha tanto il sapore di preparare la scena per le difficoltà che arriveranno.

 

Mi ha convinto decisamente anche “Odio i motori”, che ha quell’intermezzo battistiano così vicino a certe cose che abbiamo amato in passato (vedi “Anima lattina”) ma che in generale funziona anche nella sua alternanza tra il groove della strofa e la malinconia del ritornello, tutto affidato a Francesca, che mai come in questo disco sembra essere riuscita ad entrare in confidenza con la propria voce.

Non benissimo “Napster”, tra elettronica e richiami crossover agli anni ’90, oppure una “Calma workout” che Francesca gestisce abbastanza bene con una parte molto cantautorale ma che si perde un po’ via tra il break centrale di Fausto ed un finale un po’ sbrodolato.

“Giorni opachi” e “Maldinoia” sono piuttosto inoffensive, Pop orecchiabile e lineare che non è in grado di mettere radici; al contrario, “Sei di vetro” illumina squarci inattesi di profondità, una ballata scritta da Fausto con cui, a sentire lui, avrebbe preso avvio il processo di composizione di questo disco. Interessante soluzione di arrangiamento, con la prima parte cantata da lui, che ha tutta l’aria di essere presa direttamente dal demo originario, e una seconda parte più prodotta, dove Francesca tira fuori probabilmente la migliore performance della sua carriera. Linee vocali di grande effetto, andamento elegante, per un pezzo che fotografa molto meglio di altri il punto a cui sono arrivati.

 

Il bilancio finale, pur tra alti e bassi, non può che essere positivo: Un meraviglioso modo di salvarsi inaugura la maggiore età dei Coma_Cose, quella in cui non sono più il gruppo del momento, in cui è svanito l’effetto sorpresa e dovranno dimostrare di avere le carte in regola per rimanere in gioco. I testi non sono più taglienti, mancano le associazioni linguistiche e le metafore ardite, la narrazione si è fatta più pacata e anche se, come dicevamo prima, non c’è tutta questa capacità di analisi, si intravede ugualmente una conquistata maturità, assieme al desiderio di impostare il rapporto, affettivo e professionale, su basi più consapevoli e meno sentimentali.

Adesso la palla è nelle mani del pubblico: potrebbero mantenere intatta la loro fanbase, così come potrebbero venire progressivamente dimenticati. Dal canto loro, la dimostrazione che hanno ancora qualcosa da dire ce l’hanno offerta.