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MAKING MOVIESAL CINEMA
Sussurri e grida
Ingmar Bergman
1972  (Medusa)
DRAMMATICO
8,5/10
all MAKING MOVIES
09/12/2022
Ingmar Bergman
Sussurri e grida
Un film formalmente impeccabile, visivamente perfetto ma anche molto molto duro nei contenuti, quasi spietato nei confronti di alcuni suoi protagonisti.

Il cinema di Ingmar Bergman non è mai facile, è un cinema che ti entra sottopelle e continua a scavare ben oltre la fine della visione, è un cinema nel quale non sempre è possibile entrare di primo acchito, cosa che capita anche con questo, peraltro bellissimo, Sussurri e grida. Richiede impegno, attenzione, riflessione e rielaborazione, è un cinema che diventa Cinema, soprattutto quando sembra di far fatica a capirlo, a sentirlo, ma poi tutto si costruisce, tutto si compie ed esplode l'ammirazione, la comprensione (anche accompagnata dal legittimo dubbio) e nasce la consapevolezza di aver assistito a qualcosa di fuori dal comune, di lontano dalle rotte trafficatissime della banalità, del visto e rivisto e dell'inutile.

Come per altre sue opere, anche con questo Sussurri e grida, Bergman affronta temi importanti e a lui cari come il rapporto con la morte, quello con la religione, la condizione borghese e l'universale condizione in cui riversa l'animo umano di fronte alla sofferenza, al lutto, al trapasso o più semplicemente di fronte al rapporto tra consanguinei, conoscenti o consorti. Tutto è soppesato in un film formalmente impeccabile, visivamente perfetto ma anche molto molto duro nei contenuti, quasi spietato nei confronti di alcuni suoi protagonisti.

 

In una grande casa di campagna si ritrovano tre sorelle, Agnese (Harriet Andersson) che sta morendo di cancro ed è alle fasi terminali della malattia, Karin (Ingrid Thulin) e la più giovane Maria (Liv Ullmann). In realtà è Anna (Kari Sylwan), la domestica, a prendersi veramente cura di Agnese, l'unica a provare dolore, compassione e solidarietà per la donna malata, le due sorelle sono invece molto fredde tra di loro e nei confronti di Agnese.

Maria è una donna superficiale, che in fretta dimentica, più interessata a insidiare il dottore della malata (Erland Josephson), con il quale ha già avuto dei trascorsi in passato, che non a occuparsi della sorella morente, Karin è un blocco di ghiaccio che dentro di sé cova rancore, soprattutto nei confronti di Maria, non ha più nessun tipo di rapporto con il marito Fredrik (George Arlin) ed è in procinto di far esplodere il suo odio represso.

In questa situazione di glaciale ostilità Anna sembra essere l'unico nodo positivo all'interno di dinamiche decadenti, una donna semplice che trova conforto nella religione, nel contatto fisico e nella memoria di una figlia prematuramente scomparsa che forse rivede attraverso la sofferenza di Agnese. Nonostante i malumori emergano in diverse misure sembra che le risoluzioni non siano affatto a portata di mano.

 

Strepitoso sotto il punto di vista formale, Sussurri e grida vince l'Oscar per la migliore fotografia grazie al lavoro superbo di Sven Nykvist, collaboratore abituale del regista svedese, il colore rosso domina su tutto, dalle pareti, dai tappeti, dalle tende della casa di famiglia fino ad arrivare alle numerose dissolvenze tra una scena e l'altra, un impianto carminio da far invidia al Film rosso di Kieslowski, in contrappunto il bianco dei ricordi, il nero del momento luttuoso: passioni, candore, morte, in un'insieme estetico che vale da solo l'intero film, e poi c'è tutto il resto, e poi c'è la ciliegina sulla torta, il rosso della meravigliosa Liv Ullmann.

Con pochi flashback e diversi tratteggi Bergman delinea caratteri e temi, l'astio antico di Karin nei confronti di Maria che sembra a un certo punto ripianarsi per poi tornare da capo, nell'impossibilità di queste protagoniste di cambiare, di evolvere, di lasciarsi alle spalle abitudini deleterie, ricordi radicati. La proletaria Anna, guarda caso, è l'unica a esprimere una pietas sincera, uno slancio verso il divino con ben in mente il ricordo della figlia persa, queste figure femminili complesse sono in contrapposizione a quelle maschili, pallide e inutili, con un po' di attenzione solo per la figura del dottore che gode di una bella sequenza nella quale si esibisce in una critica a Maria analizzandole il viso e i tratti.

Torna il tema della religione, in età adulta Bergman abbandona le sue convinzioni di gioventù e qui ci mostra un sacerdote dotato di una fede poco convinta, che chiede intercessione all'anima della morta, una donna dotata in vita di una fede più forte della sua evidentemente. Nella costruzione delle protagoniste Bergman intesse passaggi di grande caratura, pensiamo al tentativo di riavvicinamento tra le due sorelle, i tentativi di contatto fisico tra le due, il dolore di Karin che arriva all'autolesionismo, i sussurri e le grida della morente, tutte sequenze che lasciano il segno in un film che cresce poco a poco per lasciare un ricordo duraturo. Tra i migliori film di Bergman?