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REVIEWSLE RECENSIONI
14/09/2022
Rooms By The Sea
Rivers and Beds
Un songwriting prettamente derivativo, ma realizzato con un linguaggio tipico di chi ha trovato la propria strada e non si fa troppi problemi ad esprimerla. Un primo disco che potrebbe portare i Rooms By The Sea a regalare positive sorprese per il futuro.

Si può mettere su una band in Italia anche senza cantare in italiano e nonostante la nostra scarsa esterofilia (almeno in campo musicale) non manchiamo di gruppi che si ispirano a ciò che succede al di fuori dei nostri confini.

Nel caso dei fiorentini Rooms By The Sea si guarda a quel momento, circa una decina di anni fa, in cui gruppi come Mumford and Sons, Lumineers e Of Monsters and Men spopolavano anche da noi, eravamo in piena mania Folk Revival e sembrava che fossero tornate di moda le chitarre acustiche e le camicie di flanella.

Ci ero cascato anch’io, lo ammetto (di quella scena ho sempre preferito cose più sofisticate come Band of Horses e Decemberists ma non voglio nascondere che un disco come Sigh No More mi entusiasmò davvero quando uscì). Oggi quella scena esiste ancora ma sembra essere invecchiata male, probabilmente ce la ricorderemo come una fiammata improvvisa all’interno di un’era dove la frammentazione (ma anche la varietà) della proposta la facevano da padrone.

 

I Rooms By The Sea non sembrano però farsi abbagliare e non sono neppure dei semplici cloni. Teresa Rossi (voce e chitarra), Lapo Querci (tastiere), Elena Collina (batteria e percussioni) e Mattia Papi (basso), il monicker che è un omaggio all’omonimo quadro di Edward Hopper, pescano sicuramente da quella roba lì ma hanno anche una storia di ascolti più profondamente radicata nel mondo anglosassone, in tutta la sua varietà. In particolare, c’è un certo gusto per il rock tradizionale, quello tendente al mainstream, quello che contaminandosi con le radici irlandesi diede vita a The Corrs e Cranberries (lo si avverte in brani come “Lost Thought” o “Another Life”), oppure in un Alt Folk che flirta ruffianamente col Pop più plasticoso, come di recente ci hanno mostrato Strumbellas e Mt. Joy (“Copenhagen” risente a mio parere di questo approccio e non c’è nulla di male, visto che si tratta forse del pezzo più bello del disco).

La band è abbastanza navigata, ha suonato un po’ nella sua zona e ha preso parte a concorsi importanti come Rock Contest e Arezzo Wave. Recentemente ha vinto la prima edizione del Sound Bridge Music Contest, che come primo premio prevedeva un’esibizione a Charlottesville, Virginia (non ho capito se ci sono già andati o no). Non è molto ma non è neanche poco, in un’epoca in cui, comunque vada, sembrano non esserci più itinerari predefiniti per raggiungere il successo (o forse, per essere ancora più drastici, in cui il successo risulta essere totalmente precluso ai più).

 

Registrato a La Fucina Studio di Empoli sotto lo sguardo di Giacomo Salani, Rivers and Beds suona benissimo e possiede quel tratto di irruenza tipica di una live session in saletta. In più ha una copertina meravigliosa, sospesa a sua volta tra i due mondi, non per forza antitetici, evocati dal titolo.

Il loro è un songwriting prettamente derivativo, lo abbiamo detto, ma più che un omaggio impacciato ai modelli, c’è quell’essere a proprio agio dentro un certo linguaggio, che è tipico di chi ha trovato la propria strada e non si fa troppi problemi ad esprimerla. Le canzoni del resto sono belle e funzionano tutte, anche se l’ottima voce di Teresa Rossi potrebbe tentare di essere più versatile, specie in quegli episodi che si discostano un po’ dal tema originario (vedi “Hollows”, che funziona più come una ballata e “Cold Stream”, decisamente più drammatica.

Molto bene dunque. È il primo disco e siamo certi che, se avranno voglia di continuare, i Rooms By The Sea ci regaleranno gradite sorprese in futuro.