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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
27/12/2017
Charles Hilton Brown
Owed To Myself
"Owed to Myself" di Charles Hilton Brown è uno di quei dischi per cui gli Indiana Jones del vinile se lo inventerebbero

Hanno un bel coraggio a dire che la musica è liquida: che cazzo vuol dire ? Da un dizionario: dicasi liquido la condizione di un corpo che, per scarsa aggregazione molecolare, possiede volume proprio ma assume la forma del recipiente in cui si trova. Per adesso non ho visto le canzoni dentro il mio IPod assumerne la forma o diventare come il whisky o il vino, e per fortuna, se non fosse per le vecchie copertine in cartone dei dischi, manco avrei un indizio su quello che mi capiterebbe di ascoltare. Che poi alcune copertine sembrano fatte apposta per farsi trovare: prendi ad esempio quella protagonista del post di oggi, sembra cucita addosso alla mia pellaccia di adoratore del funk.

Non solo: "Owed to Myself" di Charles Hilton Brown è uno di quei dischi per cui gli Indiana Jones del vinile se lo inventerebbero. Ma prima è doverosa una premessa: l'artista non arriva dal niente ma durante l'epoca d'oro del beat italiano era un componente del gruppo vocale dei Four Kents, quattro soldati americani di stanza in Italia che negli anni sessanta allietarono le notti dei ballerini del Piper di Roma e di Viareggio. Quindi di materia solida, fatta di sudore e note ce n'era in abbondanza per Charles Hilton Brown quando, uscito dal gruppo, entrò in studio qui in Italia, è bene rimarcarlo, per incidere quello che rimane la sua unica prova in formato lungo da solista (al suo attivo ha anche un 45 giri, "Mamma Rosa" del 1970) e al tempo stesso uno dei dischi rimasti introvabili per lungo tempo.

"Owed to Myself" uscì nel 1974 per l'etichetta Ampex ed è stato ripubblicato nel 2000 in CD dalla benemerita Schema Records. Aldilà delle fisime da collezionista il contenuto dell'album è un miracolo di groove e funk, dove il nostro ben coadiuvato dalla band britannica degli Assagai, sciorina otto brani che vanno dalle cover di "Soul Train", "Ain't No Sunshine" e "Try A Little Tenderness", rielaborate con onestà ma senza sorprese, ai rimanenti cinque pezzi originali, questi sì davvero fonte di goduria. Tre in particolare sono i miei preferiti: "I'm Coming Home" apre le porte al groove di reminiscenza Stonesiana, si gira intorno alle simpatie per il diavolo, per intendersi, ma sono i due brani strumentali "Maddox" e "G.R.F" a dare corpo e volume al lavoro. Brani trasudanti groove e funk in ogni nota, ci trovi dentro il suono dei ghetti e tanta Africa qui, poi arriva il gran finale con "Arguments", con in mezzo una tromba jazz tra suggestioni afro.

Credetemi quando vi dico che questo disco è come una comunione con il funk ed il soul, e non si tratta di musica liquida in nessun caso: questa è solida come la roccia e occhio che non spacchi il vostro lettore Mp3.