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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
05/02/2020
Massimo Volume
Live Report, 31 gennaio 2020 @ Arci Tom, Mantova
Basterebbe “Ronald, Tomas e io”, con cui si è aperto il concerto, per farci andare tutti a casa. Il suo prepotente riff di chitarra ci ricorda che 27 anni fa i Massimo Volume pubblicavano “Stanze”, facendo l’ingresso ufficiale nel mondo discografico italiano.

Da allora, le cose per il rock di casa nostra non sarebbero più state le stesse. Oggi che quel disco è stato ristampato, che decidano di aprire con questo pezzo gli show del loro ritorno nei club, è molto di più che un regalo ai fan della prima ora. È un riappropriarsi delle proprie origini, è la sfida di far convivere il nuovo e il vecchio repertorio, lontanissimi tra loro eppure, in modo misterioso, in possesso di un fattore identitario potente e irripetibile. Che è poi l’urgenza di raccontare che ha sempre avuto Emidio Clementi, sin da quella iniziale, scarna ed impietosa descrizione dell’umanità raffazzonata e disperata che si è trovata di fronte nei suoi irrequieti vagabondaggi giovanili; unitamente al modo con cui il suo basso si è sempre combinato con la chitarra di Egle Sommacal e alla batteria di Vittoria Burattini, per dare vita a trame musicali impossibili da descrivere a parole, a forgiare un suono che è tuttora un unicum, inclassificabile e inimitabile. Negli anni il nucleo storico è rimasto stabile e l’innesto recente di Sara Ardizzoni, che ha sostituito Stefano Pilia, non ne ha mutato l’alchimia. Anzi, osservandoli sul palco questa sera, l’impressione che abbiano nuovamente trovato la formula vincente per un affiatamento funzionale alla resa d’insieme, è più di una certezza. I brani suonano potenti, compatti, Egle e Sara stanno ai due estremi del palco, non si guardano mai ma si incastrano alla perfezione, dividendosi le parti in maniera tale che le complesse architetture dei pezzi, soprattutto di quelli nuovi, vengono riprodotte alla perfezione.

I nuovi pezzi, appunto. “Il nuotatore” è stato un disco importante, ne ho già scritto a suo tempo e non è il caso che mi ripeta. In questi mesi è stato portato in giro parecchio, prima nei teatri poi negli spazi aperti e ora che approda nei club, dimensione senza dubbio più congeniale ad un gruppo come il loro, è evidente che i nostri siano più che mai a proprio agio nel suonarlo. A questo giro, va ad occupare la parte iniziale della setlist, un unico blocco di otto canzoni (manca solo la conclusiva “Vedremo domani”) che arrivano subito dopo l’accoppiata “Fausto”/“Le nostre ore contate” che non sembra vero che abbiano già dieci anni e che hanno ormai assunto lo status di classici.

Esecuzioni perfette, quelle delle nuove canzoni, con Mimì che alla fine di ogni brano introduce quello successivo, dicendo qualche parola per inquadrarlo, sempre con quel tono leggero e talvolta ironico che ci ha finalmente convinto del fatto che questo disco, contrariamente agli altri, abbia effettivamente un carattere più disteso e che in qualche modo si diverta a non prendersi troppo sul serio.

L’Arci Tom (che è un gran bel locale, con una sala capiente, un bar ed un’area estiva decisamente interessante e che ha l’unico difetto di avere un palco eccessivamente basso) è gremito e smentisce in pieno i miei dubbi della vigilia (“Ma a Mantova esisteranno appassionati di musica”? Quasi trent’anni di concerti, mai visto uno da queste parti: ci sarà un motivo…”); addirittura, nel corso della serata Clementi dirà che qui ci era già venuto a tenere dei corsi di scrittura e dopo due o tre pezzi saluta il pubblico dicendo: “Vedo tanti amici qui davanti”. Insomma, giocavano in casa, nonostante le mie basse aspettative.

Il pubblico, insomma, è coinvolto e dà numerosi segni di apprezzamento, la resa sonora è ottimale e man mano che si va avanti rischia seriamente di diventare il più bel concerto che abbia mai visto, dei tanti del gruppo bolognese a cui ho presenziato.

Merito sicuramente di una prestazione maiuscola, come si è già detto, ma anche di una scaletta clamorosa, che non solo ha ripreso una buona metà del repertorio di “Stanze” (oltre ad una ipnotica “Alessandro”, già suonata quest’estate, sono arrivate la title track, “In nome di Dio” e la strepitosa accoppiata “Vedute dallo spazio”/Ororo”, con le atmosfere lisergiche della prima a sfociare nell’esplosione epica della seconda) ma ha pure rispolverato due episodi che non si sentivano da tempo: “La bellezza violata”,  che dopo il tour di “Cattive abitudini” era stata messa in soffitta e soprattutto “Dopo che”, probabilmente l’autentico regalo di questa serata. Splendida canzone di commiato amoroso, forse una delle più ispirate uscite dalla penna di Clementi, paradossalmente figlia di quel “Club Privé” che, facendo esplodere le tensioni presenti allora nel gruppo, ne sancì il temporaneo scioglimento. Bellissimo sentirla stasera, in penultima posizione, subito prima dell’iconica “Fuoco fatuo”, a sottolineare una serenità finalmente recuperata.

È appunto con il grido ripetuto “Leo è questo che siamo?” che si conclude un concerto al limite della perfezione, dove passato e presente dei Massimo Volume ci sono scorsi davanti nell’arco di quasi due ore. Certo, ci fosse stata anche “Insetti” sarebbe stato addirittura leggendario ma sappiamo anche accontentarci. Ora più che mai questa band è in grado di trascendere il tempo, astraendosi da epoche storiche e trend del momento, rimanendo sempre e comunque imprescindibile.

Tutte le fotografie sono di Christian Di Martino ©

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