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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
11/07/2019
Krishna Biswas
La solitudine dei numeri primi
“Un periodo di risacca culturale come questo è tra le cose peggiori che possa incontrare un artista. Personalmente mi sento isolato”. (K. Biswas)

Lasciate che rubi spudoratamente dal romanzo di Paolo Giordano l’idea per titolare questa intervista. L’ho rubata perché mai per una volta non esiste niente, secondo me s’intenda, che possa da subito rappresentare l’unicità spirituale di chi percorre la sua strada in un altrove che prescinda dalla massa. Da qui la solitudine che diviene ricchezza e si fa espressione, d’arte musicale come in questo caso. La solitudine delle consapevolezze e delle unicità che recita Schopenhauer, la stessa che viene combattuta e discriminata oggi nella società nichilista della tecnica, come dice Galimberti.

Ritroviamo un compositore, un chitarrista, un indio-americano ormai fiorentino da sempre… Krishna Biswas è la musica che suona, colta, di questa terra che calpestiamo come di questo cielo che ci inventiamo sogni facendo… la sua scrittura non è devota all’intrattenimento ma è rituale artigiano di chi alla musica chiede solo l’espressione di sé e del sé… alla musica, Krishna, chiede l’evoluzione della sua imprescindibile individualità. Si intitola “Radha”, il nuovo disco che torna a pubblicare con la RadiciMusic, disponibile in CD ma anche in una prestigiosa edizione in vinile a cui non è possibile voltare la faccia. E se il primo contiene tutta la scrittura disposta su 15 tracce inedite, il secondo ne contiene soltanto 10 di queste, per non compromettere lo spazio e la qualità, assicurando anche la versione in Cd al suo interno. E la carta, e l’estetica, la grafica che torna ad essere firmata dall’artista fresnopesciacalli rende tutto questo lavoro, esteticamente parlando per ora, già prezioso prima ancora di averlo fatto girare.

Ma ora gira sotto la mia puntina, che sia fisica che sia digitale. Gira questo disco di riflessione e di sospensione. E sono scritture di sola chitarra acustica che conservano aria e cullano le attese… ma sono anche scritture che incalzano in un tempo stretto utile a far mostra di grande tecnica. Accordature e diteggiature poco convenzionali, il dualismo spirituale delle figure indiane di Radha e Krishna, la spiritualità dell’uomo e quella dell’universo, il microcosmo che diviene e il tutto che si osserva e - perché no - si subisce anche.

“Radha” è un lavoro impegnativo, è la musica che cerca l’uomo per sopravvivere e al contempo generare salvezza attraverso la cultura del buono e del bello, non è musica di colori e di sottofondo da fischiettare, non sono abiti da sera per la festa popolare. È impegno, è dedizione, ricerca e artigianato. “Radha” va tenuto al riparo dalla superficialità. Ed è probabilmente la genesi di una strada utile per la riconfigurazione dell’uomo di questa società dedita alla sola apparenza. Ed è annidato tra queste scritture il sottile concetto che rileggo sempre con piacere tra le pagine de “Le particelle elementari” di Houellebecq.

Il disco si chiude con “Maggese”. Non lo sapevo e lo scopro ora che un simile ricamo è stato improvvisato al momento della registrazione. Fotografato. Ripreso. L’istinto è forse il vero emissario dell’unicità che siamo.

Ci conosciamo ormai da qualche tempo, sicuramente da quando ebbi modo di incontrarti attraverso “Panir”. Ora un nuovo disco tuo personale di composizioni inedite. Voglio giocarmi subito una domanda spigolosa: ho come l’impressione che ora più di prima tu voglia sottolineare tantissimo più l’aspetto tecnico e compositivo che quello spirituale ed estetico dei brani. Sbaglio? E se no, come mai questo bisogno? A cosa risponde…?

Questo disco è il lavoro, tra gli otto che ho alle spalle di chitarra acustica solista, cui ho dedicato più tempo in assoluto. Dal gennaio del 2016 sino a ridosso della registrazione avvenuta nell'agosto del 2018. La cura del contenuto e della connessione tra estetica e significato è stata attiva al massimo delle mie capacità.

Per ciò che concerne l'aspetto tecnico, in ogni lavoro che ho affrontato ho dato il massimo che potevo, limitatamente alle mie capacità del momento. Non sono abituato a separare l'aspetto esecutivo da quello del contenuto, forse proprio perché il linguaggio estetico si confonde con le capacità esecutive ed il significato in un contesto esclusivamente strumentale.

“Panir” l’ho sempre veduto come un l’incontro alla vita, incontro e scontro con odori, sensazioni, immagini, personaggi… un disco che celebrava l’esperienza. Questo “Radha” lo sto vedendo molto come osservazione spirituale, come stasi in cui decantare il pensiero. Ti immagino seduto ad osservare la vita intorno e, di quando in quando, anche brevi momenti di energia e di dinamica in cui il pensiero prende forme che però lasci andare sole per la loro via… come la trovi questa mia chiave di lettura che ho cercato di sintetizzare non poco?

Mi piace la tua chiave di lettura, hai centrato la prospettiva di osservazione della realtà, sia essa esteriore che interiore, motore del lavoro intero. Questo è il disco che non avevo il coraggio di comporre perché sguarnito degli argomenti funzionali ad un facile ascolto, come trovate tecniche pirotecniche, melodie vincenti e strutture rassicuranti. Lo sento un lavoro maturo che non deve chiedere il permesso per suonare come la sua essenza chiede.

Lasciami uscire un poco dal perimetro di questo disco, restandoci però con mani e piedi parlando di un concetto a me caro… e credo che sia importante anche per te. Un disco come “Radha” prevede un forte potere critico nel pubblico, enorme curiosità e voglia di confronto. Cose non solo rare, ma io direi quasi estinte. Oggi la televisione e i media celebrano i vari “Achille Lauro” e quindi, io per primo, vivo un senso di umiliazione nel vedere il pubblico celebrarli e assecondarli. Quindi ad artisti come te ho sempre la curiosità di chiedere come la vivono, come reagiscono e come si comportano di fronte a questo stato di cose e di fronte al fatto che la maggior parte del pubblico non avrà alcun tipo di strumento per celebrare l’arte contenuta in un’opera simile?

Un tema scomodo e doloroso. Occorre un dazio salato da pagare in termini di separazione dai rituali collettivi; è richiesto un lavoro di persuasione alla resistenza e se possibile alla creazione di elementi reattivi all'aridità culturale ed emotiva. Un periodo di risacca culturale come questo è tra le cose peggiori che possa incontrare un artista. Personalmente mi sento isolato.

Torni a dare immagini ai tuoi dischi. Lo fai di nuovo (e per la terza volta) con fresnopesciacalli. Perché hai deciso di legare il suo nome alla sua musica? Cosa ha dimostrato di rappresentare?

Nella mia famiglia di origine, da parte di madre, la parte statunitense, c'è sempre stata attenzione per l'arte figurativa in quanto mio nonno materno era uno scultore e mia nonna confezionava arazzi; anche nella famiglia di parte indiana, mia nonna di origine fiorentina, dipingeva quadri, sebbene in modo amatoriale. Credo di aver ereditato una naturale tendenza ad abbinare i suoni alle immagini sin da bambino. Questa sorta di trilogia che vede frenopersciacalli ancora attivo nella nostra collaborazione parla di una sintonia estetica, una sensibilità classica con le forme del moderno.

Contrappunti, distrazioni di tempo, misure strane e improvvisazione anche… hai lasciato ampio spazio anche ad una diteggiatura per niente comune. Come hai diretto la ricerca del suono e della scrittura per i brani di “Radha”? Sei partito da un’idea di suono, di tecnica o di immagine?

I brani sono stati composti partendo da delle sollecitazioni dell'ambiente che mi trovavo a frequentare, fossero esse una lettura, un incontro od esperienze artistiche. Ho impiegato tutta l'esperienza che ho accumulato negli anni per poter forgiare dei brani aderenti all'idea iniziale che scaturiva da uno stimolo indotto o spontaneo.

Radha e Krishna. Il puntuale gioco dell’anima e il globale vessillo dell’universo. Di queste divinità, omonimie a parte, chi pensi ti rappresenti al meglio?

Non posso che essere Radha poiché è la natura dell'anima singola in ricerca del contatto con l'universale; i brani cui sono più legato sono quelli abbinati alla sua figura ed il suo messaggio.

Ci ritroviamo in mano un vinile che contiene 10 dei 15 brani del CD. Una doppia stampa, un progetto grafico importante… hai curato l’estetica senza badare a spese, come si suol dire. Complimenti. E questo risvolto, cosa significa per te? Volendo fare della filosofia spiccia, per te la musica (l’arte in genere) è anche estetica e apparenza di scena?

La parte grafica è una conseguenza della cura che dedico alla musica che propongo, che è strumentale. Le immagini giuste possono aiutare nella comprensione di un lavoro musicale inedito, difficile per i più e controtendenza. Mi piace l'idea di offrire un prodotto che favorisca l'ingresso all'ascolto di musica non concepita con il movente dell'intrattenimento, di presentare un'esperienza artistica che non precluda la collaborazione con aspetti artistici non strettamente musicali.

Chiudiamo, promesso: di tutto il disco scelgo ora di sottolineare “Maggese” perché è un brano che dichiari di essere stato improvvisato al momento della registrazione. Com’è stato possibile? Buona la prima? Avevi una traccia, un appunto a matita, qualcosa da seguire da lontano come magari il titolo e l’immagine da rappresentare? Oppure davvero, hai aperto i microfoni e dato fuoco alle corde?

“Maggese” è un brano improvvisato, in alcune parti del tutto, compresi i rischi e le imperfezioni che ciò comporta, in altre invece ospita delle idee maturate già in precedenza ma con una forma diversa rispetto al momento dell'esecuzione che è per l'appunto, improvvisata; credo che questa dimensione musicale non sia lontana da quella del mio punto di riferimento principale che è il solismo di Keith Jarrett nei piano solo. “Maggese” è un brano di cui vado particolarmente fiero poiché è figlio dell'imprevedibilità nonché ispirato alla mia compagna di vita, Raffaella, presente al momento della registrazione in sala.


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