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MAKING MOVIESAL CINEMA
Il potere del cane
Jane Campion
2021  (Netflix)
WESTERN DRAMMATICO
7/10
all MAKING MOVIES
03/10/2022
Jane Campion
Il potere del cane
Con Il potere del cane Jane Campion raccoglie critiche positive e un buon numero di riconoscimenti per la sua regia: l'Oscar, il Golden Globe, il British Academy e il Leone d'Argento a Venezia. Un western moderno in cui emerge potente il tema dell'omossessualità latente, ma a cui manca qualcosa: all'apparire dei titoli di coda si prova un senso di incompiutezza, anche se i fili intrecciati vengono tirati a dovere.

Con Il potere del cane Jane Campion raccoglie critiche positive e un buon numero di riconoscimenti per la sua regia: l'Oscar, il Golden Globe, il British Academy e il Leone d'Argento a Venezia. Un bottino ricco che sottolinea come l'aspetto migliore di questo film sia proprio la regia accurata della Campion; seguono buone interpretazioni e location splendide capaci di far correre l'occhio in lungo e in largo, grazie proprio all'ottimo lavoro della Campion, come se si fosse realmente in quella valle, al crepuscolo dell'epopea del west (in realtà ciò che vede l'occhio sono i bellissimi paesaggi della Nuova Zelanda, Paese in cui il film è stato girato).

Il potere del cane ha le caratteristiche di un western moderno, l'epoca è tarda, siamo nel 1925; anche se il corpo principale della mitologia del west americano si condensa nella seconda metà del 1800 non è inusuale che il cinema si occupi degli strascichi che l'età del Far West si portò dietro nei primi decenni del nuovo secolo, magari presentandone gli elementi noti contaminati dalla modernità incombente, con l'arrivo e l'utilizzo delle prime automobili ad esempio (viene in mente La ballata di Cable Hogue di Sam Peckinpah, per dirne uno), ed è proprio questo lo scenario che ci troviamo di fronte affrontando la visione de Il potere del cane, titolo enigmatico che troverà il suo significato solo a narrazione inoltrata.

 

Montana, 1925. I fratelli Burbank, Phil (Benedict Cumberbatch) e George (Jesse Plemons), sono dei possidenti di terreni e bestiame molto benestanti. Mentre Phil è un po' lo stereotipo del cowboy rude, dal carattere forte (ma meschino e irascibile), ammirato dai suoi uomini e capace di cavarsela con tutte le incombenze pratiche che la gestione di un ranch richiede, George è invece un uomo debole, beneducato, attento alla forma e alle relazioni e con un animo più sensibile anche se non esente da disattenzioni e opportunismi.

Il rapporto tra i due fratelli è difficile, George non ha il rispetto dei suoi uomini e non riesce a trovare un vero punto di contatto con il fratello che, a dispetto delle apparenze, è forse quello dei due che ne avrebbe più bisogno. Durante uno spostamento della mandria i due proprietari con una decina di dipendenti al seguito alloggiano in casa della vedova Rose Gordon (Kirsten Dunst), qui Phil non perde occasione per deridere le maniere effemminate del figlio di Rose, il giovane Peter (Kodi Smit McPhee) ferendo profondamente la madre nella quale nascerà un'avversione inguaribile per quell'uomo così villano.

Sarà George a consolare la vedova e a scusarsi per il comportamento del fratello, mostrando una sensibilità che convincerà Rose a sposare il più gentile dei fratelli Burbank; dovrà però venire a patti con la presenza costante di Phil nella casa di famiglia dove si trasferirà col figlio e il nuovo marito.

 

Il potere del cane è un film a cui manca qualcosa, all'apparire dei titoli di coda si prova un senso di incompiutezza anche se i fili intrecciati, come la corda che un redento Phil prepara per Peter, vengono tirati a dovere. I temi sono diversi, quello portante è l'omosessualità latente di alcuni dei protagonisti, un sentire all'epoca impossibile da rivelare, da nascondere a tutti i costi, soprattutto se si aveva necessità di contare sul rispetto dei propri uomini e se si portavano come una bandiera gli insegnamenti di quello che sembrava essere a tutti gli effetti un vero mito del west.

Nulla di nuovo sotto il sole, argomenti noti almeno dai tempi del celebre Ang Lee, la Campion è molto brava, oltre che con la macchina da presa, nel costruire a poco a poco i personaggi e a far intravedere un po' alla volta tutto ciò che è presente nel loro animo, soprattutto in quello di Phil, i tormenti e tutti i non detti del caso.

Gli eventi sono in qualche modo prevedibili, molto importante in questo senso la voce off di Peter a inizio film, rivelatoria, mentre il vero interesse sta appunto nello scoprire i personaggi: l'infelicità di Rose, il tormento di Phil, la debolezza di George e tutti quegli aspetti sottaciuti che pian piano ribaltano le simpatie dello spettatore. Eppure giunti al termine qualcosa manca, come un pasto senza il dolce alla fine, come una pietanza un po' scarsa di sale...