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REVIEWSLE RECENSIONI
30/06/2022
Joyce Manor
40 oz. to Fresno
Fosse stato per i Joyce Manor, “40 oz. to Fresno” non sarebbe neanche esistito. Poi Barry Johnston si è ritrovato chiuso in casa e non ha trovato niente di meglio da fare che scrivere canzoni. Il risultato è uno dei migliori album della band.

Poco dopo la fine del tour di Million Dollars to Kill Me, i Joyce Manor avevano deciso di prendersi una pausa. Dopo oltre dieci anni costantemente on the road e con l’ennesimo batterista dimissionario, la band sentiva la necessità di rifiatare. Sul principio, quindi, la pandemia da Covid-19 non ha più di tanto stravolto i loro piani. Anzi, nel frattempo, per tenersi occupati, hanno curato la raccolta di rarità Songs from Northern Torrance e una nuova edizione del loro disco di debutto. Ma dopo un po’, fiaccati dal lockdown, Barry Johnson (voce/chitarra), Chase Knobbe (chitarra) e Matt Ebert (basso) hanno ritenuto fosse più corroborante revocare il rompete le righe ed entrare nuovamente in studio per incidere un nuovo disco, in modo da cavalcare l’ondata di entusiasmo scaturita da quelle attività di curatela.

Nel mentre, Johnson aveva scritto una manciata di nuove canzoni, sia per mantenersi in forma da un punto di vista creativo sia per esorcizzare un così difficile periodo. Operazione pienamente riuscita, dal momento che i tre si sono ritrovati con un tesoretto di brani che alle loro orecchie suonavano già come dei classici. E la cosa più ironica è che con una genesi così scontata (quante volte l’abbiamo sentita, in questi mesi, la storia delle canzoni scritte durante la pandemia?) e una spinta artistica francamente non originalissima (altro luogo comune: il ritorno alle origini), ne è venuto fuori uno degli album più freschi e affascinanti della discografia dei Joyce Manor.

Prodotto dal veterano Rob Schnapf (Elliott Smith, Beck, Guided by Voices e già al lavoro con i Joyce Manor su Cody), mixato da Tony Hoffer (Phoenix, Belle and Sebastian) e registrato con Tony Thaxton dei Motion City Soundtrack alla batteria, 40 oz. to Fresno deve il titolo al correttore automatico del cellulare di Barry, che ha storpiato così il disco di debutto dei Sublime (40oz. to Freedom). Contraddistinto dalla proverbiale brevità (solo due canzoni superano i due minuti), 40 oz. to Fresno raccoglie in soli 17 minuti sette schegge impazzite uscite dalla penna di Johnson, a cui si aggiungono una riuscita cover del classico degli OMD “Souvenir” e l’outtake di Never Hangover Again “Secret Sisters”. Ogni canzone è un piccolo gioiello di scrittura ed esecuzione, dove le melodie sono sempre in primo piano, come in “NBTSA” e “You’re Not Famous Anymore”, e i testi sono più ficcanti che mai, come nel punkeggiante singolo “Gotta Let It Go”, che riporta la band alle sue origini.

Il resto è il “solito” bignami di power pop d’alta scuola a cui i Joyce Manor ci hanno abituati, tra miniature alla Guided By Voices, attitudine punk, slanci emo alla Jawbreaker, strizzatine d’occhio pop alla The All-American Rejects e quel basso rotondo che farebbe la felicità dell’ex Weezer Matt Sharp (per non parlare di certi duelli chitarristici, che piacerebbero molto a Rivers Cuomo). Insomma, forse 40 oz. to Fresno non è l’album più sperimentale della band (Cody), quello più eclettico (Million Dollars to Kill Me) oppure il suo capolavoro (Never Hangover Again), ma di sicuro è tra i più piacevoli e divertenti della sua discografia. Non male per un disco che non sarebbe neanche dovuto esistere.