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MAKING MOVIESAL CINEMA
The Handmaid’s Tale
Bruce Miller
2017  (MGM Television)
SERIE TV
all MAKING MOVIES
17/07/2017
Bruce Miller
The Handmaid’s Tale
Lo guardi meglio, allora, questo futuro distopico, e scopri che tanto distopico non è. Che sottomissioni, abusi, lavaggi del cervello, mutilazioni e oppressioni, sono all'ordine del giorno, oggi, nel nostro mondo. E il tutto fa ancora più paura.

Una società divisa in caste: i ricchi al potere e con ogni comfort, gli uomini a prendere ogni decisione mentre le donne se ne stanno a casa, divise in mogli servizievoli, in amanti atte solo a procreare, in servitù che diritti non ne ha. Abiti monocolore, senza identità, spettri che si aggirano in città rurali, dove a regnare è la legge religiosa, un culto che si interpreta a piacere.
E pensi di essere nel passato, in una serie in costume dove quel passato lo si rimaneggia e dove i costumi sono a tinta unita.
Guardi meglio, e invece no, quello che vedi è un futuro, un futuro nemmeno troppo lontano.
Quel futuro, però, è distopico, è un futuro dove la terra, le donne, gli uomini, sono sterili. Colpa dei cambiamenti climatici, della contraccezione imperante, di emancipazione e genetica. Colpa di un Dio punitivo, invece, per chi al potere è andato con la forza istituendo leggi che spaventano, leggi che danno l'angoscia e che rendono giusto, ritualizzato, pure lo stupro, da compiere su chi fertile lo è, da compiere in cerimonie stabilite nei giorni giusti del mese.
Lo guardi meglio, allora, questo futuro distopico, e scopri che tanto distopico non è.
Che sottomissioni, abusi, lavaggi del cervello, mutilazioni e oppressioni, sono all'ordine del giorno, oggi, nel nostro mondo.
E il tutto fa ancora più paura.
Fa ancora più paura che The Handmaid's Tale parta dall'oggi, dall'oggi felice e spensierato di Uber, di Tinder, di diritti civili e adozioni libere, arrivando a un futuro che sembra un passato e che è un presente, ma che sia stato scritto da Margaret Atwood nel lontano 1985.
La speranza, la si ripone in Difred, l'ancella ribelle, che dietro sorrisi e sottomissione, ci parla e si sfoga, resiste e combatte, per un futuro migliore, per riabbracciare quella figlia che le è stata portata via.
Assieme al ritratto di questa donna spezzata ma che si alza giorno dopo giorno in piedi, ci sono altre donne, che si ribellano, che urlano e scappano, donne che il potere l'hanno perso, e si ritrovano in una società da loro designata che le esclude, donne che il potere ancora ce l'hanno, ma che gli si ritorce contro con scelte dall'alto crudeli e ingiuste, anche ai loro occhi che quotidianamente perpetrano l'ingiustizia.

La parola femminismo la si pronuncia allora spontaneamente.

Soprattutto se donna, e se si pensa a un futuro simile, a quale lato della barricata finire, e si soffre, quindi, ci si indigna e si piange, di fronte a un mondo simile, un mondo che già c'è.
Non sono solo i temi spinosi affrontati a fare di The Handsmaid's Tale la serie del momento e forse dell'anno, è ovviamente come li si racconta questi temi, come si fanno denuncia anche quando mostrano del positivo (un sistema di accoglienza per i rifugiati quello sì distante anni luce dal realizzarsi), con un procedere a ritroso che scopre poco a poco le carte, è per come si strutturano gli episodi, passando da un personaggio all'altro, è per la perfezione di una regia pulita e geometrica che in colori grigi si muove con maestria, togliendo il fiato, è per una colonna sonora sempre azzeccata.
È soprattutto per un'Elisabeth Moss straordinaria, per i suoi primi piani intensi, per quei suoi pensieri ribelli e incisivi che la consacrano nuova eroina dopo l'indimenticabile Peggy Olson di Mad Men, è per il resto delle donne da Samira Wiley a Yvonne Strahovski fino alla riscoperta di Alexis Bledel di Gilmore Girls, tutte, oscurano gli anonimi maschi, oscurano senza problemi quel Joseph Fiennes viscido e inespressivo.
I brividi, quindi, queste ancelle di rosso vestite, questo esercito che sfila silente ma resiliente, sono brividi di paura, sì, ma anche di bellezza.