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Abbassa quello stereo
Alberto "Il Cala" Calandriello
2018  (Gli Elefanti Edizioni)
CARTA CANTA
all THE BOOKSTORE
27/04/2018
Alberto "Il Cala" Calandriello
Abbassa quello stereo
Il libro raccoglie, in ordine cronologico, una serie di interventi apparsi precedentemente sul suo blog (molti di essi in effetti li avevo ben presenti) ma a leggerlo tutto di fila è evidente che, nella varietà dei testi e dei nomi trattati, l’argomento sia unico, la tesi di fondo chiara: la musica è compagna indissolubile di una vita intera...

Ho incontrato Il Cala (come lo chiamano tutti) una volta sola, ad un concerto dei Counting Crows di quasi quattro anni fa. Ci siamo presentati, abbiamo scambiato due battute divertite e poi siamo andati ognuno nella nostra postazione a goderci il concerto. Che fu straordinario ma è superfluo dirlo.

Ad ogni modo, l’ho pensato quella sera e lo penso tuttora: Facebook è uno strumento straordinario. Ha dato la parola a legioni d’imbecilli, vero. Può essere usato per atti di indicibile violenza verbale e psicologica, vero anche questo. Però ha il potere di connettere le persone come mai prima, è in grado di far nascere legami veri da contatti inizialmente virtuali, che si creano sulla base di semplici interessi comuni. A me questa cosa è successa spesso: da che ho ripreso seriamente a scrivere di musica, sono entrato in contatto con centinaia di persone, tutte accomunate dal fatto che, in un modo o nell’altro, leggevano quello che scrivevo. Con alcuni ci siamo incontrati, con altri no; con alcuni siamo diventati amici, con altri si è rimasti a livello virtuale. In ogni caso, l’idea che quello che fai a tempo perso possa contribuire a connetterti col mondo è comunque una gran cosa, da qualunque parte la si voglia guardare.

Per cui eccomi qui, adesso, a parlare dell’ultimo libro di Alberto Calandriello, detto Il Cala. Che oltre a essere assistente sociale, è anche un grandissimo appassionato di musica, curatore di un blog (CalaLand) e molto attivo nella sua zona (Albenga, in provincia di Savona), tramite l’associazione Zoo, di cui fa parte, nell’organizzazione di eventi a base musicale (il più celebre è senza dubbio “Su la testa”, giunto alla tredicesima edizione, e dalla quale sono passati anche nomi importanti). In più, conduce “Championship Vynil”, una sua trasmissione radio, ed è ospite fisso su un’altra, “Mr. Rock”, in onda su Radio Savona Sound. Uno che non perde tempo, insomma.

“Abbassa quello stereo!” è il suo terzo libro ma, ironicamente, questa è la prima volta che si occupa direttamente della sua più grande passione. Non che nei due precedenti (“Scusa, Ameri” e “I diari della varicella”) la musica non facesse capolino qua e là, ma solo ora l’autore si ferma e ci racconta tante cose della sua vita da ascoltatore e da appassionato. Che poi è molto più di un ascolto, ed è molto più di una passione, a voler ben vedere.

Già, perché se c’è una cosa chiara nelle pagine di questo testo, è che la musica, per Alberto, è un qualcosa di non facilmente definibile, collocabile. È la vita stessa. Non coincide con la vita ma ne fa parte a pieno titolo, è il filo rosso che vi si dipana attraverso, la chiave interpretativa di mille eventi, il sostegno che permette di non cadere.

Per l’autore, gli artisti di cui parla sono molto più che artisti; sono compagni di strada, amici, fratelli. C’è uno scambio di esperienze, una comunione di vita, che accade sia che si abbia a che fare con gente tutto sommato raggiungibile (come nel caso dei fratelli Severini dei Gang), sia che si tratti di autentiche leggende come Bruce Springsteen e U2.

Il libro raccoglie, in ordine cronologico, una serie di interventi apparsi precedentemente sul suo blog (molti di essi in effetti li avevo ben presenti) ma a leggerlo tutto di fila è evidente che, nella varietà dei testi e dei nomi trattati, l’argomento sia unico, la tesi di fondo chiara: la musica è compagna indissolubile di una vita intera, i nostri artisti preferiti sono preferiti proprio perché ci parlano, perché nelle loro canzoni troviamo aiuto, conforto, troviamo una corrispondenza di esperienze e, a volte, addirittura una risposta alle nostre domande, un sollievo per ciò che ci tormenta.

L’autore è stato un ragazzino scapestrato come tutti, con poca voglia di studiare e un’idea confusa su cosa fare nella vita. Col tempo si è sposato, è diventato padre di due bambine, ha trovato la sua vocazione lavorativa nell’aiuto ai deboli, agli emarginati; ha perso il padre, ha vissuto una lunga serie di gioie e di dolori. È diventato uomo. In tutto questo, la musica c’è sempre stata. Più maturo e consapevole di Rob Fleming, il protagonista dello splendido romanzo di Nick Hornby “Alta fedeltà”, non a caso qui citato più di una volta, Alberto ha comunque in comune con lui questa passione viscerale, questa consapevolezza che in un vinile, in un cd, in un concerto, ci sia parecchio in ballo, molto di più di quello che le persone normali sarebbero disposte a pensare.

Si parla di Bruce Springsteen (tantissimo, per una buona metà del libro) seguendolo per i suoi vari tour, dal Carlo Felice di Genova nel 1996 (la prima volta dell’autore), ai più recenti show milanesi del 2012 e 2013, i primi dalla scomparsa del sassofonista Clarence Clemons, e qui c’è tutto un bel racconto di come Cala sia arrivato ad elaborare il lutto e a capire che ci si può commuovere ad un concerto della E Street Band, può avere ancora un senso andarci come se ci fosse tutto in gioco, anche dopo che uno dei suoi componenti più importanti non c’è più.

Si parla poi degli U2 (altra sua grande passione) e dei Pearl Jam (difficile fare classifiche ma credo che, almeno in campo rock, questi siano i tre nomi che significano di più per lui), anche qui attraverso il racconto dei loro concerti italiani e di come, soprattutto nel caso Eddie Vedder e compagni, le canzoni possano davvero rappresentare un manuale d’istruzioni per muoversi consapevoli all’interno dei meandri dell’esistenza.

Da ultimo, c’è l’Italia con Fabrizio de André e il suo “Crêuza de mä”, Francesco Guccini, che non è presente con un capitolo a lui dedicato ma che è come un sottotesto che permea parecchi di questi scritti; e poi i Gang, altra grande mania del Cala, col loro attaccamento viscerale a luoghi, persone, valori; con la consapevolezza che nella vita si va avanti solo se si appartiene, a qualcosa o a qualcuno.

Il tutto intrecciato a vari aneddoti di vita famigliare, di storie di amicizia e all’immancabile sguardo ironico di chi proprio non capisce come si possa fare, a spendere così tanti soldi, tempo ed energie in dischi e concerti.

Lo stile è quello a cui ci ha abituato in questi anni: spassoso e ironico a tratti ma anche urgente e drammatico, nei momenti in cui capisce che ci sono cose importanti da dire, su cui sarebbe meglio non scherzare. Lo preferisco nella prima versione, se devo essere sincero, perché trovo che Alberto, come scrittore, dia il meglio di sé quando rievoca esilaranti episodi di vita concertistica o tratteggia improbabili ritratti di negozianti o di “Springsteeniani” (razza su cui andrebbe svolto un serio studio antropologico, prima o poi). “Abbassa quello stereo!” però mette abbastanza bene in chiaro che la voglia di scherzare, questa volta, non è prioritaria, che ci sono cose urgenti da comunicare, lo spazio non è molto e occorre andare al sodo.

È un bel libro, in definitiva, l’ho letto (o riletto, a seconda dei casi) molto volentieri, con quel senso di leggera invidia tipico di chi, pur vivendo la musica come una fissa forse anche superiore a quella dell’autore, non si è mai fatto scavare il cuore così come è accaduto a lui. Ascoltare dischi e scriverne, andare ai concerti e scriverne: attività bellissime a cui non rinuncerei mai; eppure, in fondo, passatempo, curiosità professionale, niente che abbia veramente a che fare col destino, forse.

Probabilmente è questo il pregio più grande di “Abbassa quello stereo!”: che ci mette davanti ad un modo di ascoltare la musica che nasce dalla carne e dal sangue, che è esso stesso fatto di carne e sangue. E che forse è anche l’unico modo possibile.